In Challenge/ Diario

#30DaysOfMe – Giorno 6: Saiyuki

Challenge: 30 giorni, 30 opere che mi definiscono.
Credits by @Erikaruna.

Conoscete la leggenda di Sun Wu-Kung, lo scimmiotto di pietra? Essa è un’antica leggenda cinese che ha come protagonista una scimmia potentissima che sfidò gli dei e Buddha stesso, finché non finì imprigionato per la sua arroganza. Fu un monaco virtuoso, un santo vivente, a liberarlo e a prenderlo come suo discepolo. Al monaco fu dato un compito: quello di raggiungere i territori dell’ovest e il monaco partì per questo pericoloso viaggio a cui si unirono un maiale antropomorfo e un demone marino, dei peccatori come lo scimmiotto che insieme trovarono la retta via e, arrivati alla meta, che credevano fosse il Paradiso, non trovarono nulla se non loro stessi.
Questo viaggio che rientra nell’epica cinese, ha affascinato il Paese del Sol Levante che ha adattato la storia alla sua cultura, con il titolo Saiyuki e trasformando lo scimmiotto Sun Wu-Kung in Son Goku.
Da The Monkey di Osamu Tezuka a Dragon Ball di Akira Toriyama, l’eroico scimmiotto e i suoi amici hanno influenzato la narrativa, l’immaginario e la cultura pop nipponica, a volte solo mediante citazioni, a volte reinterpretati in una forma nuova.
Avevo conosciuto Dragon Ball molto presto prima che arrivasse sulle reti Mediaset e avevo letto la leggenda (ma non dal testo originale) di Sun Wu-Kung, una storia che trovavo molto bella e che mi piaceva anche per i suoi riferimenti al buddhismo, religione che in casa mia ha sempre avuto un grosso spazio in biblioteca e per cui la mia famiglia provava una certa fascinazione.
fangirlinkQuando in Italia arrivò per MTV Anime Night l’anime Gensomaden Saiyuki, la curiosità non mi mancò anche se – ammetto – a prima vista le impressioni non furono delle più positive. L’anime non incoraggia a vederlo (ed è diverso da quel capolavoro del manga): c’è tanto fanservice inutile, tanti filler ed animazioni atroci, ma è narrato in un modo splendido, ha parti riflessive molto intime, atmosfere coinvolgenti e i suoi protagonisti hanno un carisma tale che dopo lo scetticismo iniziale me ne innamorai. E, non lo nascondo, il mio cuore batté forte per Son Goku.
Mi piace pensare che per quell’età – 13 anni – Goku fu non una crush, ma il mio primo amore, un amore che c’è ancora oggi in una forma diversa, d’ammirazione, perché Goku è il mio eroe e la sua purezza è qualcosa che ancora oggi mi commuove. Sorrido all’imbarazzante ricordo di un’ostilità verso Sanzo perché capivo l’esclusività del suo rapporto con Goku, ma una volta superata la puerile gelosia verso Sanzo, quest’ultimo è diventato una fonte d’ispirazione, un personaggio che ammiravo (ed ammiro tutt’ora), al quale volevo umanamente avvicinarmi. Non di secondaria importanza sono stati Gojyo e Hakkai, per cui posso dire che il mio amore per Saiyuki è nato principalmente per un cast di personaggi straordinari con una bellissima e tragica storia dietro le loro ombre. Avevo già sviluppato da tempo un fascino per le storie ricche di dramma, pathos e una grande e legami che trascendevano ogni tempo e logica, per questo solo quando Saiyuki mostrò la sua vera natura il mio interesse mutò, guadagnandosi presto un posto speciale al fianco di Digimon Adventure.
Digimon ed Evangelion, come ho raccontato, erano arrivati in un momento della mia vita delicato e nero, insieme ad altre opere minori furono un sostegno fondamentale per farmi andare avanti. Saiyuki arrivò invece quando le cose hanno iniziato a cambiare in meglio e velocemente, ma non posso negare che ero alquanto confusa a riguardo: erano arrivate cose che per anni avevo sperato, desiderato, le stavo sfruttando in tutte le loro potenzialità eppure compresi il senso della vacuità dei desideri, della temporaneità delle cose. Gli amici che avevo sempre sognato non sarebbero durati a lungo, mio padre era tornato ma non per restare, le medie stavano finendo come avevo sempre sognato e tutto era tranquillo, io ero tranquilla, ma potevo esserlo anche nella prospettiva di cose ben peggiori.
È difficile spiegarlo, ma Saiyuki mi fece comprendere che le cose importanti erano altre ed altrove, che io avevo già qualcosa di prezioso e la serie stessa mi aveva donato alcune di esse che sarebbero rimaste nel tempo quando le altre cose sarebbero finite. A circa 17 anni di distanza da quella realizzazione, quelle sensazioni erano giuste e Saiyuki era un’opera di finzione, sì, ma mi ha mostrato da giovanissima in che modo il dolore è temporaneo, quanti e quali desideri inutili, cosa significa essere liberi e altro di cui preferirei non discutere in questa sede.
Provo profonda gratitudine verso la sensei Minekura, il cui scopo era forse davvero creare una versione yaoi della nota leggenda (questo si vocifera sulle prime bozze), invece ha dato vita a un capolavoro d’umanità con una filosofia unica, sincera, realistica che ti spinge a guardare in faccia il dolore e a non credere nelle illusioni.
Sì, Saiyuki aiuta il lato sacro e il lato profano di chi ne entra in contatto, raccontando una storia bellissima con rapporti molto ambigui (ma non poi così tanto), donando fanservice ma senza mai esagerare o perder di vista la storia.