In Challenge/ Diario

#30DaysOfMe – Giorno 5: Neon Genesis Evangelion

Challenge: 30 giorni, 30 opere che mi definiscono.
Credits by @Erikaruna.

#30daysofmeNeon Genesis Evangelion è stata una di quelle serie che, insieme a Digimon Adventure e a Card Captor Sakura, mi ha spinta ad approcciare in maniera più intima e consapevole al mondo di anime e manga.
Ricordo la pubblicità su MTV quando mi alzavo all’alba durante le medie, anche se all’apparenza mi sembrava un mecha (un genere che non mi interessava) c’era qualcosa tra le immagini e la musicalità che aveva acceso il mio interesse.
Ero ancora una bambina (11-12 anni) per vedere una serie simile: ero cresciuta in un ambiente cattolico, protetto, e nonostante già in tenera età avevo fatto i conti con la dura realtà della vita, ero molto ingenua e non avevo ragionato su tematiche più crude legate alla violenza, alla morte e al complesso universo psicologico di ogni essere umano.
Evangelion si è rivelato un trauma, senza troppi giri di parole: era crudo, sofferente e mi faceva trattenere il respiro ad ogni episodio. Me ne stavo seduta al buio sul divano a guardarlo con il timore di essere scoperta, come se stessi guardando qualcosa di proibito; trattenevo le lacrime e mi chiedevo seriamente se ce l’avrei fatta ad arrivare a fine episodio. Non avevo paura, ma muoveva qualcosa in me che mi portava a rapportarlo con la realtà, alla sofferenza di altri umani intrappolati nei loro traumi, nel loro passato, in un presente che non valeva la pena di essere vissuto ma nel quale combattevano.
Capivo Shinji nel suo rifiuto di ogni cosa, nelle sue paure, domande semplici e giuste, ma i miei occhi e i miei sentimenti erano legati a un’eroina che si sostituì a Minako (Sailor Moon) con pochi episodi: Asuka Soryu Langley. Ero impressionata dalla forza di Asuka, aveva vissuto un passato terribile, non aveva grandi cose nel presente, eppure a soli 14 anni era già laureata, conosceva tre lingue e pilotava un EVA. Poteva piangersi addosso come Shinji, ne aveva tutto il diritto, invece stringeva i denti, voleva primeggiare e nonostante i momenti di isteria, di invidia, gelosia e una perpetua rabbia… viveva.
Siamo oggettivi: Asuka non è esattamente un personaggio stabile, ha tante fragilità, tanti complessi e una paura tremenda di non essere accettata, di non essere la prima in qualcosa. Primeggiare è l’unica cosa che non la fa sentire sola ed è così perché animata dal senso di colpa di una madre suicida che l’ha ripudiata per una bambola. Asuka non vuole solo essere accettata, non vuole bastare, vuole essere speciale e per questo lotta nel presente. Capivo solo parzialmente la sua psicologia alla prima visione, ma era una fonte d’spirazione, volevo essere come lei, volevo avere quella forza di affrontare le avversità anche al costo di sembrare una pazza capace solo di urlare. Ad oggi ho superato il mito di Asuka, ma questo non significa che il suo personaggio mi piaccia di meno, semplicemente credo di averla compresa meglio.
#30daysofmeEvangelion per me si era dunque identificato nel personaggio di Asuka?
Non direi, ma a quel tempo per me Asuka era sicuramente importante, un motivo che mi teneva incollata alla TV e non mi faceva scappare di fronte a tematiche ed immagini che mi mettevano a disagio.
Alla fine compresi anche il finale nonostante la mia età, anche se mancavano elementi importanti perché ne capissi tutti gli aspetti.
Non avevo mai studiato a quell’età psicologia o la filosofia per dire, ma per la prima volta mi interessai a quelle discipline. Poi c’erano le tematiche su sesso e sessualità, quasi un tabù per un’undicenne vissuta in una sfera di cristallo. Queste piccole cose – insieme a tante altre – hanno iniziato ad entrare nella mia vita, così Evangelion è diventato ciò che ha segnato il mio passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Se fu un passo verso il mondo adulto, verso l’interesse di altro, Neon Genesis Evangelion fu per me anche il primo anime che – seppur doppiato – vedevo senza censure, nella sua veste integrale, originale, con sigle in lingua giapponese (che trovai così belle tanto che ricercai i CD, anche per serie come Card Captor Sakura o Digimon che avrei amato da lì a poco). Se la combo Digimon+Sakura avrebbe alimentato la curiosità verso una conoscenza più profonda di quelle opere e verso il mondo fandomico, Evangelion mi fece capire il vero aspetto dell’animazione giapponese e soprattutto fu il primo prodotto che vedevo per un target adulto.
Inutile dire che tutt’oggi Evangelion è una delle mie serie preferite (apprezzata ancor più in rewatch consapevoli) e sono felicissima mi abbia portato a conoscere il mondo che oggi frequento ed amo, tuttavia c’è una parte di me che avrebbe preferito conoscerla ad un’età diversa, considerando – appunto – che vidi l’anime a pochi mesi dalla fine delle scuole elementari (prima di aver letto il manga di Sakura e prima di aver visto Digimon). Potevo non vederlo è vero, ma l’incoscienza e la curiosità ebbero la meglio. Se per caso state leggendo e avete meno di 14 anni, a prescindere dalle vostre esperienze di vita, aspettate di crescere ancora un pochino per potervela godere e poter poi ringraziare il maestro Hideaki Anno per questo capolavoro che, speriamo, troverà una fine entro il 2022.

PS: si rassicurano i lettori che il post è stato scritto con Zankoku na Tenshi no Thesis in sottofondo.