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Tokyo BABYLON (Clamp)

Io amo questa città.
Perché è l’unica città al mondo che corre sulla strada della distruzione divertendosi.

Tokyo. 1990.
Il sedicenne Subaru con il suo aspetto grazioso e i modi cortesi, non si direbbe, ma è il tredicesimo capofamiglia dei Sumeragi, la più famosa famiglia di onmyōji del Giappone, maestri di arti magiche e divinatorie.
Dopo anni a Kyoto di duro addestramento nelle pratiche dell’onmyōdō, Subaru va a vivere con la gemella Hokuto a Tokyo, città che lo tiene sempre impegnato con il suo lavoro e gli impedisce – con una certa frequenza – di andare a scuola come un ordinario adolescente.
Fantasmi, maledizioni, rituali oscuri, esorcismi, sette e conseguenze di giochi pericolosi, sono il pane quotidiano di Subaru anche se le tragedie dietro ogni caso sono difficili da dimenticare. Il giovane onmyōji è empatico e ha un cuore puro, quello che fa non è solo lavoro, è una vocazione che ha abbracciato con amore verso tutto e tutti ma che non lo lega niente, lo fa sentire sacrificabile e incapace di dare valore alla sua vita. Questi sentimenti preoccupano Hokuto, vorrebbe che Subaru avesse qualcosa di speciale nella sua vita, qualcosa che non sia solo il mestiere di famiglia.
In quanto non portata nelle arti occulte, Hokuto è cresciuta lontana dal severo sguardo della nonna ed è molto diversa da Subaru: entusiasta di ogni cosa, eccentrica, edonista. È una ragazza alla moda, affascinata da quello che Tokyo offre e abbraccia ogni occasione di divertimento, tra questi figura un veterinario che fa la corte a suo fratello, Seishiro Sakurazuka.
Hokuto fantastica su una relazione come quella tra Montecchi e Capuleti per Subaru e Seishiro, una storia d’amore proibita, sofferta, con torbidi retroscena, in quanto il veterinario ha il cognome della famiglia di onmyōji rivali dei Sumeragi. Sarebbe divertente per Hokuto se una storia del genere fosse in moto, dopotutto Seishiro ha qualche capacità spirituale ma Sakurazuka è un cognome molto diffuso e suo fratello non prende sul serio il flirtare dell’uomo.
I momenti imbarazzanti che Hokuto e Seishiro creano e le difficoltà di ogni lavoro, segnano nel bene e nel male le giornate di Subaru che cresce ad ogni passo nella capitale del Giappone.
Tokyo seduce Subaru con i suoi abitanti, con i luoghi che la caratterizzano, con i segni di una globalizzazione sempre più invasiva, tra contraddizioni, in conflitto tra urbanizzazione massiccia e petali di ciliegio. Tokyo non è una città, è un’esperienza, è un’anima, è un labirinto, è un mistero nascosto nel passato di Subaru, un ricordo lontano che cerca di rifiorire.

Tokyo, bella e dannata

Davvero odi tanto Tokyo?
Con questa domanda inizia il manga che ha portato il gruppo di autrici Clamp ad accedere all’olimpo dei grandi autori del fumetto.
La domanda è posta in una pagina nera dove c’è solo la Tokyo Tower – il simbolo della città – che introduce la protagonista dell’opera nel format di una scheda personaggio: la città di Tokyo. Sotto quest’introduzione vediamo comparire Subaru, presentato solo pagine dopo, un protagonista che non è un eroe, perché questa non è una storia di eroi, o di buoni e cattivi: Tokyo Babylon è una storia dedicata alla città di Tokyo, come ode d’amore e come maledizione.
Il sottotitolo di Tokyo Babylona save for Tokyo City Story – ci prepara alle pagine dell’opera, ci avverte che è un tentativo di salvataggio, ma quello che brulica nella città è una vitalità suicida, destinata alla distruzione.
La domanda che apre Tokyo Babylon fa così da memento mori, legata in apparenza a una storia o due in particolare, si rivela essere il leitmotiv dell’opera che, nella sua ambiguità, potrebbe non esser rivolto a qualcuno in particolare. “Davvero odi tanto Tokyo?” potrebbe essere una domanda che vuol rompere la quarta parete, o un eco lontano dal futuro. Tokyo è una città totem, un microcosmo dell’umanità e il manga ci porta ad esplorarla. Con il furgoncino di Seishiro viaggiamo dentro Tokyo dove, tra un lavoro e un altro, Subaru scopre scenari diversi della città e dell’umanità.
Dal panorama visibile dalla Tokyo Tower, alla bellezza di un hanami al parco di Ueno, dalle strade di Shibuya, al divertimento del Tokyo Sea Life Park di Edogawa, saltando dalla clinica veterinaria all’ospedale locati a Shinjuku, il nostro trio di personaggi si muove in una città complessa e affascinante. Passando tra caffetterie e fast-food, veniamo coinvolti da conversazioni più o meno frivole, più o meno problematiche, di un mondo globalizzato che rincorre mode, che ragiona in modo egoista e pericoloso, incurante di chi viene calpestato, figlio di un miracolo economico (quello degli anni Ottanta) che nella sua positività è il sintomo di una malattia terminale.
Se le conversazioni del trio sono arricchite da ironia e riferimenti di cultura pop, sono spesso prologo o appendice dei drammatici (o tragici) casi a cui Subaru deve far fronte.
Il mondo spirituale con cui Subaru ha a che fare è la conseguenza della crudeltà del mondo dei vivi, dove un abito firmato può innescare il decadimento morale, e dove un fantasma non è spaventoso quanto chi è in vita. Tokyo diventa così una città di solitudini, di desideri laceranti, di conflitti silenziosi. Tokyo è la realtà, priva di logiche sentimentali, Tokyo è crudele ma – bella e dannata – sa come sedurre e riservare momenti felici.
Subaru, Seishiro e Hokuto, consapevoli della precarietà della vita, strappano al presente momenti preziosi, cercando qualcosa di speciale in un mondo consumista dove niente sembra essere “per sempre”. Hokuto e Seishiro non si risparmiano nel criticare la società con spirito postmoderno, mentre Subaru ascolta, protesta perché idealista, perché è un romantico, legato a fantasie, sogni e sentimenti di una fanciullezza candida, incapace di odiare e vedere il male anche se Tokyo lo provoca, lo tenta, cercando di corromperlo, mostrando la realtà nella sua più crudele natura.
L’eco del “tu odi Tokyo?” ritorna.
La domanda è posta nella forma discreta tipica della comunicazione giapponese, è una domanda che indaga sull’amore, sulla capacità di amare a prescindere dalla natura di Tokyo. Subaru non le professa amore, ma dall’inizio rivela che quella città gli piace. Subaru soffrirà, piangerà, ma nonostante tutto Tokyo sarà vita per lui, una vita che lo sfida, che val aldilà del bene e del male e si prepara a diventare il palcoscenico dell’Apocalisse annunciata nel 1999.

Una storia di formazione che trascende i generi

Tokyo Babylon sembra essere un’antologia tematica di storie sulla società contemporanea; quello che ci viene narrato sono storie che troviamo di frequente tra le cronache dei notiziari, nei talk-show, nei racconti del vicinato, se non in casa nostra. Sono tutte storie che trascendono la connotazione geografica, perché Tokyo in questo manga è un simbolo, è molte cose, meno che una semplice città.
Ognuno di questi casi dona qualcosa a Subaru, un’occasione di crescita, una profezia, un avvertimento. Fantasmi e uomini forgiano la dimensione dello spirito del giovane Sumeragi e spianano il cammino verso il suo futuro, diventando anelli di una catena che pesa e lo lega a un destino che è pronto è rivelarsi.
La storia di formazione di Subaru corre pari passo a un’ombra oscura, un mistero, un giovane senza volto, un sogno ricorrente, forse un ricordo.
Il lettore ha pezzi di puzzle dal primo volume per capire dove la natura misteriosa di Tokyo Babylon voglia portarci, la tensione da thriller sembra un presa in giro, ma le Clamp giocano bene le loro carte, creando una sceneggiatura non solo emotivamente coinvolgente, ma raffinata e geniale. Parole e disegni raccontano storie diverse, dove le parole alludono spesso a qualcosa che non sappiamo, dove i disegni celano enigmi, dove non esiste una sola chiave di lettura.
Tokyo Babylon è un manga che racconta una storia in modo chiaro e lineare, eppure cambia totalmente questa storia vista in retrospettiva, quanto letta dopo il manga di X, al quale si lega. Queste tre letture sarebbero da considerarsi quasi d’obbligo, per potere godere davvero dell’opera che – data la complessità – non si può classificare in un genere, o arginare in una tipologia definita.
Fantasy? Sovrannaturale? Thriller? Horror? Slice of life? Romantico? Questi generi confluiscono ma nessuno prevale sull’altro, fondamentalmente perché è una storia di formazione non convenzionale che ingloba generi, li sintetizza e li rinnova. Questo fa di Tokyo Babylon un’opera unica nel suo genere, musa ispiratrice dal 1990 per molti autori, un ingranaggio che – in modo consapevole o meno – ha cambiato, evoluto, il panorama dei manga in ogni tipologia editoriale: shōnen, shōjo, josei, seinen boy’s love.
Come ogni grande opera, le Clamp hanno preso anche loro ispirazione da un’altra grande opera: la saga fantasy Teito Monogatari di Hiroshi Aramata. Iniziata la pubblicazione su una rivista letteraria della Kadokawa Shoten nel 1983, Teito Monogatari divenne una saga letteraria pubblicata in dieci volumi (con cover illustrate da Suehiro Maruo!) pubblicata fino al 1987. La peculiarità di questi romanzi fu il raccontare le attività sovrannaturali in una Tokyo del Ventesimo Secolo da una prospettiva di personaggi legati al mondo dell’occultismo, più precisamente legati alle pratiche onmyōdō e feng shui. La produzione letteraria e fumettistica riscoprì con estremo interesse mitologia e folklore connessi a queste antiche pratiche, la stessa opera del sensei Aramata vide incarnazioni di diversa natura dal cinema all’animazione, quanto furono richieste ristampe dei libri, espansioni, prequel e spin-off che fecero del protagonista, Yasunori Katō, un influente personaggio della cultura pop nipponica, tanto che le stesse Clamp si sono ispirate a lui per la creazione dei personaggi di Subaru e Seishiro.

Prima e oltre Tokyo Babylon

I gemelli Sumeragi e Seishiro non sono nati esattamente con Tokyo Babylon e per esso.
Dopo che Subaru fu disegnato sulla cover di un romanzo edito da Movic, il design piacque e Subaru divenne effettivamente un personaggio. Insieme a Hokuto e Seishiro, Subaru esordì su un’antologia dōjinshi chiamata Shoten, dove le Clamp raccoglievano storie di carattere shōnen-ai, alcune a fumetti, altre come racconti accompagnati da illustrazioni, e questo è il caso dei nostri.
Le due storie pubblicate su Shoten, titolate Nippon Yōkai Junrei-Dan e Tokyo Babylon vedevano gli onmyōji in una storia dai toni scanzonati, comici, dove il focus principale era la relazione tra Subaru e Seishiro che andrà a concludersi con una proposta di matrimonio. Non a caso il tema di Shoten 6 – dove fu pubblicata la seconda storia – è il matrimonio e la dōjinshi conteneva in allegato gli inviti alle nozze delle coppie – tutte omosessuali – che si sarebbero scambiate i voti.
Gli eventi di Shoten non hanno alcuna relazione con il Tokyo Babylon pubblicato su Wings (al tempo South) e i personaggi stessi hanno caratterizzazioni diverse, ma l’antologia fu il trampolino di lancio per l’opera che porterà le Clamp alla fama, nonostante RG Veda stesse già mostrando il loro lato rivoluzionario.
Subaru, Hokuto e Seishiro dovevano cambiare per affermarsi seriamente nel mondo editoriale così la storia prese vie più dark (senza mettere da parte lo humor), diventando espressione ribelle e sentita di un gruppo di giovani, critiche su ciò che offriva il presente. L’affrontare tematiche politiche e sociali portò il manga all’attenzione di un pubblico non abituato alla lettura dei manga, uscendo fuori dal target di riferimento (shōjo), catturando l’attenzione di lettori nuovi e dando un’importante scossa a un’editoria troppo legata a un pubblico di riferimento.
I maestri assoluti Osamu Tezuka e Go Nagai hanno sempre realizzato manga con messaggi politici e critiche alla società molto forti, considerato l’affetto dichiarato delle Clamp per Nagai l’ispirazione – si può assumere – venga proprio da lì, ma la condizione delle Clamp era diversa in quanto donne e autrici su riviste shōjo.
Gli shōjo manga – al contrario di ciò che si può pensare – sono stati teatro di innovazioni e sperimentazioni dagli anni Settanta della rivoluzione del  Nijūyo-nen Gumi (o Gruppo Anno 24); opere come In the Sunroom, Kaze to ki no uta (Il poema del vento e degli alberi), Thomas no shinzō (Il cuore di Thomas), Versailles no bara (Le rose di Versailles), Shiroi heya no futari, sono solo alcuni titoli che hanno rivoluzionato lo scenario dei manga, creando nuovi generi, mutando i preesistenti, abbracciando tematiche mai affrontate e non omologandosi a nessun canone. Queste opere ed autrici hanno anche vinto premi e sono inevitabilmente madrine delle Clamp, le quali hanno continuato (inconsapevolmente?)  una rivoluzione fermata anni prima, che aveva bisogno di non rimanere legata agli anni Settanta.
Nonostante quella rivoluzione artistica, gli shōjo manga erano ancora visti come spazi adeguati a chi non aveva grandi abilità, le donne – secondo un’editoria sessista – erano prevalentemente autrici di shōjo perché non sapevano usare tecniche affermate sulle pagine degli shōnen, come l’uso dei retini, per dirne una.
Separati, i generi vivevano senza comunicare (Rumiko Takahashi era l’elefante nella stanza) ma gruppi dōjinka come quello delle Clamp (all’epoca in undici e sotto il nome Clamp Cluster) nascevano proprio dalla passione per gli shōnen manga: Devilman, Saint Seiya, Captain Tsubasa, Jojo, Yoroiden Samurai Troopers, erano le letture preferite del gruppo e su cui disegnavano fumetti amatoriali (di natura per lo più shōnen-ai). Al loro esordio non stupisce che le Clamp con RG Veda presentarono quello che formalmente e tecnicamente era uno shōnen, nonostante fosse sulle pagine di una rivista shōjo (sempre South, battezzato in seguito Wings) e il titolo fece parlare di loro, le portò all’attenzione del pubblico, diventando ancora più chiacchierate quando iniziarono a pubblicare Tokyo Babylon. Un pubblico eterogeneo si interessò a quel manga: tra fotografie negli sfondi, emarginati su cui si puntavano i riflettori, sfacciataggine nell’inserire brand, su quelle pagine non c’era una critica velata o celata tra metafore, c’erano conversazioni esplicite su fatti reali e situazioni realistiche, chiamando le cose con il proprio nome o con le etichette date dalla società (Seishiro non definisce se stesso omosessuale, ma pervertito). Nei manga la criticità verso la società e la sensibilità su certi temi era sempre stata fatta in modo borderline (come per esempio MW di Tezuka o Violence Jack di Nagai) ma mai si erano messi dei personaggi comodamente seduti ad analizzare senza filtri i problemi del proprio tempo.
Un adolescente con uno sguardo puro sul mondo, un omosessuale e una ragazza dichiaratamente femminista (e disinibita, considerando come si rapporta a Seishiro, dai contatti fisici al modo di chiamarlo, del tutto inappropriato in Giappone) sono punti di vista diversi che formulano tesi e antitesi sul loro presente, non trovando soluzioni, ma toccando i punti nevralgici di un sistema volto al fallimento e di cui – consapevoli – sono parte del problema. A volte alzano le mani sulla loro ipocrisia, altre empatizzano con situazioni di marginalità e dolore, rendendosi conto però che non basta, evitando dunque parole vuote, preferendo crude verità a soluzioni romantiche e da lieto fine. Fantasmi e altri esseri sovrannaturali diventano i brandelli di quei fallimenti umani che non possono avere soluzione, che hanno già avuto un finale, bisogna solo imparare ad accettarlo e farne magari tesoro, perché certe tragedie non si ripetano più, riflettere su certe tematiche, come la condizione di portatori di handicap o la donazione degli organi. Non pensiamo però al manga come un’antologia di racconti slegati, ogni episodio ha un suo peso sulla macrostoria e un valore non indifferente nel percorso di formazione di Subaru, diventando ognuna una sorta di profezia per l’adulto che diventerà. E in tema di profezie, il sistema mondiale volto al fallimento finirà per evolversi nell’apocalisse narrata in X, ambientato nove anni dopo gli eventi di Tokyo Babylon e diventando per esso il vero epilogo.

Considerazioni finali: spoiler alert!

Prima che diventi lo scenario dell’apocalisse nel 1999, Tokyo si fa protagonista e divora Subaru.
Quello che rimane del giovane Sumeragi alla fine del manga è un uomo dilaniato dal dolore, al punto di non avere altro che odio, un odio a cui vuole dedicarsi e trasformare nell’arma per uccidere chi gli ha strappato la vita.
Seishiro è Tokyo, una Tokyo che ha giocato sempre secondo le sue regole e prosegue, va avanti, vive sui resti delle grandi civiltà, delle tradizioni, degli assolutismi. Tokyo, con le sue luci perenni, è la colorata espressione del decadimento: conosce il suo futuro, sa che il 1999 arriverà ma se ne frega, preferendo essere indiscriminatamente teatro di commedie e tragedie. Tutte le grandi civiltà si sono estinte, la storia si ripete e si rigenera sempre, come gli alberi che dopo i rigidi inverni riavranno foglie sui loro rami e schiuderanno bellissimi fiori.
Subaru è Babilonia, le Clamp scrivono della capitale mesopotamica affiancando proprio un Subaru sorretto da altre braccia (supponiamo quelle di Seishiro, ovvero Tokyo), in una posizione assunta quando si viene sistemati in una bara. Subaru rappresenta un potere spirituale (quello dell’Imperatore, 皇, come si traduce il kanji di Sumeragi) legato a tradizioni antiche, dal carattere identitario molto forte e che evoca una certa solennità. Il Sakurazukamori ha radici antiche come i Sumeragi ma una storia nell’ombra, un’identità necessariamente celata e che si maschera, si trasforma e conforma, seguendo il flusso di quella società liquida di cui parlava Zygmunt Bauman. Tokyo vince su Babilonia non per un ideale, vince perché la megalopoli cosmopolita si è sottomessa ai bisogni dell’umanità a differenza di Babilonia che, con la sua Torre, peccò della presunzione di affermare un’identità che credeva sacra.
Prive di una lingua comune Babilonia e Tokyo non possono comunicare, sono legate, sorelle, ma vivono in mondi diversi, mondi che perpetuano gli stessi errori e che le rende inette in modo diverso. Subaru e Seishiro sono due inetti, come nell’interpretazione di Italo Svevo del termine.
Tokyo Babylon è un manga dunque di contrasti e dualità: il doppio di Subaru è Hokuto, mentre quello di Seishiro è la maschera da veterinario; le Clamp però non si limitano a evidenziare differenze tra personaggi, in modo più subliminale inseriscono dualità e contrasto nelle storie e nelle tematiche affrontate, in un sottotesto da scoprire in rilettura, quanto in un più palese compartimento grafico. Nero e bianco si sfidano in un grigio predominante, minime le sfumature, il tratto è incisivo, ricco di spigolature, seguendo regole geometriche abbastanza rigide e rendendo i disegni non perfetti ma certamente simbolici. Storia e visualità rimandano al Tao, al simbolo primo dell’onmyōdō, all’arte che Sumeragi e Sakurazuka usano per proteggere il Giappone in modi diversi.
In questa dicotomia però non si può parlare di un dualismo tra Bene e Male: nonostante le azioni di Seishiro siano amorali e gli intenti di Subaru virtuosi, le pagine del manga non li definiscono uno come eroe e l’altro come villain, inquadrare in una dimensione etica i personaggi renderebbe debole tutta l’opera. Se la dualità è inscindibile non esiste unicità, come non esiste un’unica lettura degli eventi. Subaru e Seishiro sono identità opposte, lo yin e lo yang, ma contengono inevitabilmente dell’altro per validare il loro principio, come vuole il Tao. Sulle tavole c’è spazio per il grigio che diventa la zona d’incontro, quanto grigia è la vera natura di ogni cosa, al di là del Tao e del suo equilibrio dualistico. Contraddizione?
In un certo senso abbiamo tra le mani un’opera di decostruzione ma con relativa consapevolezza di ciò. Non credo le Clamp avessero letto Martin Heidegger e Jacques Derrida o, semplicemente, volessero trattare di metafisica in uno dei loro primi lavori; è più credibile che in corso d’opera abbiano analizzato e ben sfruttato il potenziale del manga, con il geniale risvolto di aver realizzato un lavoro classificabile come decostruzionista senza volerlo.
Questo manga di formazione attraverso il dolore finisce per non insegnare nulla a Subaru, il dolore che doveva aiutare la sua crescita lo annulla, svuotando di senso e desideri la sua esistenza. La maturazione per Subaru è la morte, come la condanna per ciò che non sa adattarsi è estinguersi, che non sia una morte fisica è un dettaglio davvero relativo: Subaru è un uomo morto che cammina, e realizzarlo uccide un po’ anche il lettore.
Le premesse con cui inizia il manga non sono affatto originali, solo dal terzo volume c’è un’imposizione più oscura e particolareggiata riguardo ai suoi personaggi e il plot inizia ad emergere, ci trae in inganno, ci frastorna con il dolore di storie altrui, ma ci indica una speranza e vogliamo crederci, i personaggi stessi vogliono crederci. Dopo il lungo processo di elaborazione dei propri sentimenti, Subaru capisce di amare Seishiro e nel momento in cui dà voce a quel sentimento è esso stesso a rivoltarsi contro di lui, rivelandosi nel modo più crudele possibile. Leggerlo fa male, il peso dei capitoli precedenti crolla brutalmente addosso; Seishiro fa sentire tradito anche il lettore, perché il fascino del suo personaggio non lascia indifferenti (non per niente Seishiro Sakurazuka è uno dei migliori personaggi creati nella storia dei manga, leggere per credere). La vittoria del Sakurazukamori non sembra però interessare a lui stesso che non trionfa, si limita a far del male e andare via, rimandando il suo incontro con Subaru, regalandogli una sorella morta e lasciando un vuoto nella vita di Subaru che non sarà più colmabile.
Il concentrato di eventi in poche pagine è stordente, lascia domande ed amarezza, evoca una tremenda solitudine ma è un’esperienza di lettura a cui le parole non rendono giustizia, va letto per non esser mai digerito.
Ci dicono che l’amore trionfa, il bene vince, c’è redenzione per tutti e può anche esser vero tutto ciò, ma l’epilogo nichilista di Tokyo Babylon vuole affermare che solo un valore trionfa sempre: la stupidità.
Un ultimo eco riemerge dal manga: che merito c’è, allora, nell’essere speciali?



Titolo originale: Tokyo BABYLON (東京BABYLON)
Titolo italiano: Tokyo BABYLON
Autrici: Clamp
Volumi: 7
Genere: drammatico, sovrannaturale, mistero, horror
Tipologia editoriale: shōjo
Pubblicazione originale: South (Shinshokan)
Uscita originale: 1o/04/1991 – 25/03/1994
Pubblicazione italiana: Planet Manga (2001); d/visual (2009)