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My Broken Mariko (Waka Hirako)

Ehi, Mariko, davvero te ne sei andata senza lasciarmi nemmeno una lettera?

Tomoyo Shiino è in pausa pranzo da lavoro, guarda distrattamente la tv in un locale quando quello schermo informa su una tragedia: Mariko Ikagawa si è tolta la vita.
È una notizia come tante che passa sullo schermo, si confonde ad altre cronache, ma stravolge la vita Tomoyo. Mariko era sua amica, la sua migliore amica, Mariko era l’unica persona cara che aveva al mondo. Tomoyo l’aveva vista la settimana prima, era una costante nella sua vita, anche se il lavoro e la vita da adulte non permetteva loro di vedersi come quando erano a scuola.
Frastornata, incredula, i ricordi di Mariko che la chiamava Shii-chan ricompongono pezzi di puzzle, così sale il senso di colpa di Tomoyo: Mariko dalla più tenera età subiva abusi psicologici, fisici e sessuali da parte di suo padre, Shii-chan era la sua ancora di salvezza, ma è stata assente nell’ultimo periodo, così… è davvero colpa di Tomoyo?
Mariko le scriveva sempre tante lettere, possibile che se ne sia andata senza lasciarle neanche delle ultime parole?
A Tomoyo Shiino sembra non rimanere altro che affrontare il lutto, ma la rabbia la scuote più delle lacrime, così prende una decisione: ruberà le ceneri di Mariko e le spargerà in un bel posto, lontano dalla casa del suo aguzzino, finalmente libera.
Tomoyo non ha potuto salvarla dalla crudeltà degli abusi, ma stavolta – lo giura – salverà Mariko.

Un viaggio nel lutto

Il pennino riempie pagine bianche con disegni irregolari, nevrotici e lontani dall’estetica manga; sembra esserci un’urgenza, qualcosa che non va che l’autrice deve dirci ma non riesce a metabolizzare. Così si presentano le pagine del primo racconto grafico di Waka Hirako, lanciato da ComicWalker, rivista seinen tra titoli per lo più isekai e fantasy, dove elfe, guerrieri e principesse combattono e realizzano i propri sogni. My Broken Mariko è un’anomalia crudele in un contesto simile: la lotta di Mariko, le lacrime di Tomoyo, l’aver sopportato la violenza, non hanno portano al finale felice che la dolce Mariko meritava.
L’autrice ci racconta una storia realistica, dove non esiste una via d’uscita come in un dungeon, dove la narrazione si snoda toccando il proprio dolore. L’esperienza del lutto è l’avventura che Tomoyo deve affrontare.
Il pennino di Waka Hirako diventa la bacchetta magica che dà espressione alla sofferenza, con tremolanti contorni, linee incisive, nerissime, conferiscono un’espressività unica alle tavole. Il disegno non persegue un canone, una bellezza, perché quello che è narrato fa schifo, quello che può mostrare Tomoyo è solo schifoso dolore, incapace di fermare l’immagine di se stessa, spesso deformata, grottesca, come altri corpi, come le azioni. Le vignette sono severe e brutalmente sincere nel mostrare un mondo fragile, di irregolarità, con baloon che non riescono a rimanere nei loro spazi ma esplodono con un linguaggio volgare, perché c’è bisogno di far urlare Tomoyo, perché deve dare voce ai propri sentimenti, anche se questi sfoghi non sembrano bastare. La rabbia si fa viva, il suono che sembra quasi toccare il disegno e farlo tremare, ma non si scompone, nulla degenera perché già degenerato, mentre un senso di claustrofobia impregna le tavole. Poi arriva Mariko, il suo ricordo, ed ecco che Waka mostra tutta la sua arte con disegni limpidi, chiari, belli, come bella era Mariko e il suo animo. Il disegno non è sola immagine ma concetto, parla lì dove le parole cessano, dove la narrazione non può andare avanti, dove l’immobilità e l’introspezione sembrano cristallizzare tempo e azione.
Il tema trattato è difficile ma affatto banalizzato, perché l’autrice rende la sofferenza di Shii-chan comica, rocambolesca nella fuga, assurda nelle azioni e tremendamente realistica: come si può andare avanti? Come si possono rubare delle ceneri? Tomoyo improvvisa, solo ad azione fatta si rende conto che le sue gesta avranno conseguenze, ma ha fatto una promessa; non sa come mantenerla, non sa dove cercare il luogo perfetto per lasciar andare Mariko che infesta i suoi pensieri, finché i ricordi più felici non suggeriscono dove.
My Broken Mariko è un viaggio insolito, dentro Tomoyo e verso l’ignoto, una fuga – come ci rivela il titolo del primo capitolo – da un mondo che aveva messo in gabbia Mariko, colpevolizzandola, rendendola incapace di prendere le redini la propria vita. Umorali sono le tavole come la costruzione della storia, si alternano pagine comiche a pagine di cruda lucidità, grafica pulita a tratti deformi, c’è calma e c’è rabbia. Trauma, flashback e senso del dovere devono trovare una coerenza, cercano di legarsi nel viaggio, ma l’evento è troppo caldo, vicino, per poterlo analizzare e trovare un modo per mettere a tacere le mille inquietudini di Tomoyo.
My Broken Mariko diventa una lettura preziosa davanti all’onestà che mostra, si capisce subito che è un tema molto a cuore all’autrice, la stessa ha rivelato che la storia è nata ispirandosi a sua madre, una sopravvissuta a una vita di abusi, una persona che avrebbe voluto aiutare come amica o in qualità di madre stessa. Queste fantasie passano dall’autrice a Tomoyo, sono ipotesi impossibili che acutizzano il dolore, che non possono andare a risolversi in alcun modo: il senso di colpa è in fondo sempre fine a se stesso, impossibilitato nel modificare la realtà.
L’occhio diventa lucido, è struggente vedere tavole che mostrano tutta la stanchezza di Tomoyo e i silenzi da cui nascono parole di colpevolezza, ma ancora più dolorosa la frustrazione con cui cercava di aiutare Mariko, senza successo. Mariko era convinta di essere colpevole, di non meritare di essere felice, come si può cambiare una convinzione tanto radicata che gli eventi sembrano dimostrare? Le parole più sincere, razionali e affettuose di Shii-chan non erano abbastanza.
Riuscire a narrare qualcosa di tanto complicato è un’operazione di talento unica, un trionfo irrazionale così ben riuscito da diventare paradossalmente difetto, perché il dolore non ha ragioni e una narrazione empatica è un viaggio affatto imparziale.
Waka Hirako non indaga su verità, lascia molto in sospeso, non scava a fondo per farci conoscere il personaggio di Tomoyo; non ci sono eventi o toni altisonanti, si potrebbe quasi dire che My Broken Mariko è un frutto immaturo, un lavoro parziale. Facile criticare prendendo come riferimento dei canoni e adagiandoci su una narrativa fatta di certezze, ma è proprio in questa scompostezza e nel carattere rozzo che l’autorialità viene fuori. My Broken Mariko non vuole adagiarci su ciò che conosciamo, vuole pungerci e infastidirci, perché il dolore non ha zone di conforto ma ha tanti buchi neri, spazi vuoti, eventi che non si possono mettere a fuoco, così come i sentimenti. La sceneggiatura imperfetta diventa a perfetta per questa storia, non si digerisce facilmente, ma è accattivante, variegata, con una poetica che (ri)cerca la vita ma non può fare a meno che scontrarsi con la cruda realtà.
L’ andare avanti, per Shii-chan, viene rimandato a un generico domani.
L’edizione raccolta in volume da J-Pop Manga può consolarci per una ventina di pagine con Yiska, one-shot che tratta di una fuga diversa, dal sapore western, che allieta la tragica storia di Mariko e Tomoyo.

Considerazioni finali: spoiler alert!

Ci sono delle tavole che credo porterò nel cuore, anche se questo manga non sarà un pilastro nel panorama editoriale.
Ho l’immagine residua di certi momenti simbolici, mi sono entrati entrato dentro: Tomoyo che stanca torna a casa e si butta sul letto abbracciando le ceneri di Mariko; Tomoyo che sogna di accogliere tra le braccia Mariko bambina… senza baloon queste pagine parlano e rivelano tanto, sono simboli del lutto, parti importanti per l’avanzare della storia. Altre vignette sono semplicemente belle, anche se meno importanti, perché Waka Hirako parla molto con i disegni, con le ombre, i volti; il suo stile metamorfico e incredibilmente espressivo mi ha conquistata, ricordandomi un po’ Paru Itagaki (Beastars) e un po’ il tratto di autori occidentali affermati nell’ambito delle graphic novel.
La prima impressione è importante – sempre – e confesso che la prima impressione di My Broken Mariko fa pensare a una commedia di disavventure, pensavo che l’autrice volesse esorcizzare il dolore con il divertimento, non mi aspettavo profondità e poesia.
Criticabili sono le zone in ombra del racconto, sembra esserci potenziale sprecato, incluso il finale in cui Tomoyo trova l’ultima lettera di Mariko. Credo che se avessimo letto oltre quel “Cara Shii-chan…” l’impatto emotivo sarebbe stato minore, ho sinceramente amato quella sospensione, il dire e non-dire è poesia, non per tutti, ma pur sempre poesia e non superficialità.
Adoro anche l’aspetto ambiguo del sentimento che legava le due ragazze: che tipo d’amore era? Da amante di opere yuri quale sono, mi è piaciuto che non fosse chiaro, che l’amicizia pesasse più di qualsiasi altra possibilità. Mariko fa dichiarazioni inequivocabili, certo, ma Tomoyo non reciproca quelle dichiarazioni se non dopo la morte dell’amica. D’altra parte Mariko sembra si fosse legata morbosamente perché non c’era nessun altro nella sua vita, Tomoyo era l’unica cosa bella, risulta normale fosse per lei la persona più cara ma la dimensione di questo amore può essere ambigua e credo sia stata una scelta intelligente. Se My Broken Mariko avesse esplicitato il sentimento romantico, il suicidio sarebbe stato poco credibile, una tragedia forzata, quanto il senso di colpa di Tomoyo sarebbe stato ridimensionato.
Forse Mariko non era corrisposta, forse Tomoyo ha avuto una storia con un uomo, forse Tomoyo non riusciva ad accettare i propri sentimenti, questi dubbi pesano diversamente sulla tragedia rispetto a un legame definito. Qualsiasi nome avesse l’amore che c’era tra loro, il dolore non cambia, quanto non invalida il messaggio.
Se c’è un aspetto trascurato che mi è dispiaciuto fosse tale, è il personaggio di Makio, l’uomo che aiuta Tomoyo. Il mistero che lo avvolge, il fatto che avesse anche lui tentato il suicidio, la sua gentilezza, mi hanno incuriosita e mi è dispiaciuto non saperne di più, ma è realistico: nella vita compaiono persone simili che aiutano e non vedremo mai più.
C’è della magia però, quel tipo di magia causata da eventi ordinari ma a cui attribuiamo particolari significati, trascendendo la realtà. Quando le ceneri di Mariko aiutano a salvare una ragazza da un molestatore, l’evento risulta comico, eppure spinge il lettore a voler credere che Mariko si sia ribellata finalmente; che le ceneri vadano disperse sembra ulteriormente drammatico ma possiamo speculare, immaginare che sia il miglior scenario.
Quando la nostra Shii-chan torna a casa quel devastante senso di vuoto e realtà esce dalle pagine del manga, sembra quasi aver annullato l’esperienza del viaggio, le nuove conoscenze.
La solitudine è devastante e proprio in quel momento tutto diventa reale: Mariko non c’è più.
Sembra banale, ma chiunque abbia perso una persona cara può capire quanto Waka Hirako sia straordinaria nel trasmettere questa sensazione surreale, il dolore sembra stia per iniziare davvero da quel momento, invece Tomoyo trova la lettera di Mariko, si accende la speranza, la vita continua. Qualsiasi cosa abbia scritto Mariko, illumina l’epilogo.
Nonostante il tema trattato, non posso che pensare a My Broken Mariko come a un racconto di speranza che celebra la vita.


Titolo originale: My Broken Mariko (イ・ブロークン・マリコ)
Titolo italiano: My Broken Mariko
Autore: Waka Hirako
Volumi: volume unico
Genere: drammatico
Tipologia editoriale: seinen
Pubblicazione originale: ComicWalker (Kadokawa Shoten)
Serializzazione originale: 16/07/2019 – 17/12/2019
Pubblicazione italiana: J-Pop