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Yakusoku no Neverland: Prima Stagione (CloverWorks)

“Fuggite! Fuggite! Fate a pezzi questo mondo schifoso!”

In una lussureggiante campagna circondata da boschi c’è un orfanotrofio di bambini felici. Vestiti sempre in bianco, con tatuaggi numerici al collo, i piccoli esibiscono sorrisi spensierati, segno di una vita sana, vissuta tra le amorevoli cure di mamma Isabella (Yūko Kaida).
Periodicamente i bambini lasciano l’orfanotrofio, ma con tristezza: sono una famiglia unita e sentono non gli manca nulla in quella casa, hanno già mamma e fratelli. Nessuno però rimane, anche i più grandi lasciano la casa una volta compiuti i dodici anni, è la regola.
Emma (Sumire Morohoshi), è cresciuta in quella casa, è prossima ai dodici anni, ama ciascun membro della famiglia ed è particolarmente legata ai coetanei Norman (Maaya Uchida) e Ray (Mariya Ise). I tre sono inseparabili, sono le colonne della famiglia con le loro capacità e un intelletto elevato e sono un punto di riferimento per gli altri.
Quando Connie, una delle bambine più piccole, lascia l’orfanotrofio, dimentica il suo inseparabile coniglio di peluche. Emma e Norman lo trovano e decidono di inseguire la bambina che si è incamminata con Isabella ai confini della proprietà; sanno che è proibito andare in quella zona, ma sono pronti a pagarne le conseguenze: il coniglietto di peluche è importante per Connie.
Arrivati ai confini, nonostante la loro velocità, non trovano nessuno e curiosando in un un furgoncino scoprono una raccapricciante verità: Connie è morta, giace come un rifiuto, dissanguata e con gli occhi sbarrati. Metabolizzare la scoperta sembra impossibile, ma ciò che origliano subito dopo da creature non umane è ancor più terribile: l’orfanotrofio è un allevamento di esseri umani e Isabella è la loro allevatrice, il cui scopo è dare carni di prima scelta a esseri mostruosi che vivono oltre il cancello ed i muri della proprietà.
Emma e Norman scappano via, tornano turbati, nulla potrà più essere come prima e sanno che l’unica soluzione per sopravvivere è fuggire.

Come un’opera di Philip K. Dick

Yakusoku no Neverland è un manga scritto Kaiu Shirai e disegnato da Posuka Demizu, serializzato su Shōnen Jump. L’opera da noi è edita da J-POP con il titolo The Promised Neverland, andata ormai oltre a quello che lo studio CloverWorks ha adattato in dodici episodi, il primo arco narrativo.
YakuNeba (abbreviazione del titolo) dalla opening theme degli UVERworld si presenta intrigante ed originale: immagini di armonia, bambini allegri e coccolati, il quadro di una grande famiglia felice è minacciato da un rock energico e nevrotico, caratterizzato da tensioni musicali elettro-blues, nonché un testo che urla di sopravvivenza, della necessità di non arrendersi e lottare, accompagnando i tre protagonisti sequenze di fuga.
Micce che si accendono e spezzano, farfalle che muoiono, simboli e stile per una storia che dall’inizio risulta accattivante e dinamica. La dinamicità dei ritmi musicali nei contenuti non si traduce in azione o in una serialità di eventi sorprendenti all’interno dell’anime, ma questo non è un elemento negativo, anzi, è proprio in queste assenze che ci è mostrata la forza di Yakusoku no Neverland.

Emma e Norman, una volta conciliati con le loro emozioni, sanno di dover fuggire da lì e vogliono farlo senza lasciare indietro la loro famiglia; logisticamente è complicato, ma ancora più difficile è trovare il modo di fuggire: non sono altissime mura a preoccuparli ma l’essere controllati via radar.
Rivelata la scoperta al sospettoso miglior amico Ray in tre uniscono forze e menti, dando vita a un gioco di scacchi che strategia dopo strategia non trova una via per fare il suo checkmate. Isabella, dal canto suo, capisce dai primi istanti che qualcosa non va, ma non si preoccupa e richiede l’aiuto temporaneo di un’assistente, Sorella Krone (Nao Fujita), che mira a diventare madre in quell’allevamento, mettendosi in una posizione ambigua nella scacchiera.
Ogni giorno i bambini organizzano gare di nascondino per riuscire a muoversi in modo vincente, ma è nascosto a tutti loro la motivazione di tanto impegno, anche se i più grandi iniziano a sospettare qualcosa.

Una routine ripetitiva, pochi eventi, poca azione non negano entusiasmo e curiosità, perché scavano nel cuore dei personaggi e della storia, aprendo questioni etiche e dubbi.
Il clima di tensione e spionaggio rende tutti sospetti, con pochi ed importanti sviluppi cresce di episodio in episodio l’affettività verso personaggi che possono risultare banali a prima vista (la ragazzina energica e dai buoni sentimenti; il ragazzino affascinante e geniale; il giovane tenebroso ed introverso) ma che in realtà nel contesto si muovono bene, non risultando mai noiosi o scontati. Sono proprio i personaggi d’altronde ad aumentare il volume della storia, dando un peso ad ogni azione e pensiero, distinguendo YakuNeba da una narrativa shōnen abbastanza classica che la sceneggiatura di Toshiya Oono (Ao no Exorcist, Gatchaman Crowds) non ha appiattito.
Non mancano le tematiche e gli ideali che Jump ha sempre consacrato, a fare la differenza però è il loro rapportarsi con la storia, quanto il non aver paura di toccare tematiche e vie non convenzionali, quasi come se Yakusoku no Neverland fosse parte del repertorio di racconti di Philip K. Dick. Credo che Jump fosse da tempo in cerca di una storia simile, considerando che l’ultima opera a portare tematiche tanto mature e crude fu Death Note (2003 – 2006).

Se la storia prende una via inquietante, tale atmosfera è resa nel manga più convincente dai disegni di Posuka Demizu che vanta un tratto limpido, algido e grottesco, in grado di richiamare a una delle opere dark fantasy per eccellenza: Claymore di Norihiro Yagi. La forza e la suggestione del tratto di Demizu non riesce a esser tradotto in animazione, il character design Kazuaki Shimada (Mahō Shōjo Nante mō ii Desukara) è più morbido e i colori vivaci che riempono lo schermo al massimo creano un bel contrasto con i contenuti, ma non disturbano come dovrebbero.
Poco male però se a compensare c’è l’ottima regia di Mamoru Kanbe (Elfen Lied, Subete ga F ni Naru: The Perfect Insider) che ha reso convincente Yakusoku no Neverland anche nel format animato, non solo grazie al supporto di una sceneggiatura attenta ed intelligente, la formula del successo è dovuta anche a piccoli dettagli e suggestioni create dal sonoro: colonna sonora, sound effect e performance recitative da brivido (su tutte è da distinguersi l’impressionante Mariya Ise).

Promised Neverland

Il confronto con i giganti

Ricerca disperata della libertà, volontà di far prevalere la dignità umana, prendere in mano la propria vita, trasformare la paura in una forza motrice per combattere. Non sono tematiche insolite nel mondo dello shōnen ma il carattere particolarmente riflessivo di Yakusoku no Neverland, quanto la maturità con cui affronta i temi, la rende una storia anomala ed originale considerata la sua origine. O per lo meno questa è la sensazione a caldo che suscita.
Raffreddata l’emozione per una doccia fredda analitica, andando a sciogliere i nodi di alcuni dubbi, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto abbia in comune con la serie di punta di Bessatsu Shōnen Magazine di Kōdansha: Shingeki no Kyojin (o se preferite: L’Attacco dei Giganti).
Sembrerebbe difficile accostare le due opere o potrebbe sembrare ancora più superficiale voler forzare un confronto per il loro genere di dark fantasy, per questo mi sono soffermata un po’ a riflettere. Entrambe le serie nel loro panorama editoriale sono tra le poche, di successo, a trattare le tematiche di cui sopra senza essere banali e aprendo una riflessione non solo etica ed antropologica, ma anche politica. Prima di questi titoli Fullmetal Alchemist di Hiroku Arakawa aveva conquistato i lettori di tutto il mondo con la sua narrativa coraggiosamente politica in un mondo – quello dello shōnen manga – dove si evita di trattare di politica. Hajime Isayama nella sua storia ancor più cruda ha preso in prestito molto dall’opera dell’Arakawa (e badate, non è difetto) e penso che anche Kaiu Shirai abbia trovato forte ispirazione dal mondo post-apocalittico di Isayama.

Un mondo chiuso ed ignorante di chi vive non pensando a cosa ci sia al di fuori delle mura, adulti che sanno e preferiscono rimanere in gabbia, al contrario di più giovani che tanto hanno sognato sui libri e vogliono sapere, giovani che non vogliono essere cibo per creature mostruose, ma affrontare un mondo ignoto cercando in esso non la sopravvivenza ma una vita dignitosa, da essere umani. Tali personaggi non sono meri idealisti: conoscono la paura, convivono con essa, eppure la paura risulta un male minore rispetto a una morte senza lotta o dignità. Questi giovani non sono nati per essere eroi, ma trovano nella disperazione e nell’energia della loro età, dei loro sogni, la forza per combattere e scontrarsi con la cruda realtà, una realtà che ha traditori e nemici vicini, ma dove essi non sono demonizzati, piuttosto rappresentano un approccio diverso davanti a una realtà che sembra troppo complicata per loro.
Autori ingenui – pur spinti dalle migliori intenzioni – potrebbero fallire miseramente nel trattare le stesse tematiche, perché queste storie di formazione sono collocate in un contesto talmente vasto e complesso che deve tenere sempre in considerazione tanti elementi; con una prova del genere da affrontare il rischio di banalizzare tematiche e personaggi è dietro l’angolo. Shingeki no Kyojin in primis ha trovato il suo successo nel coraggio di scegliere di toccare con mano tali difficoltà e andare anche controcorrente, un rischio che può deludere o meno nel suo sviluppo corrente, ma che mostra una coerenza di fondo. Yakusoku no Neverland seppur non cavalca lo spirito simil epico de L’Attacco dei Giganti, sembra non discostarsi da questa linea d’azione ed è ugualmente interessante che nei suoi toni più mitigati voglia intraprendere un percorso simile, navigando tra atmosfere misteriose con rimembranze fiabesche.

Nel cartaceo di YakuNeba sono andata di pochi capitoli avanti rispetto al primo arco narrativo, quindi la mia riflessione è basata sull’adattamento animato e non è intenzionata a paragonare il manga con quello di Shingeki no Kyojin, ma c’è già materiale a sufficienza per unire punti in comune, fare sovrapposizioni e poter dire che l’anime di Yakusoku no Neverland non solo ha una grande energia capace di suscitare forti emozioni e riflessioni, ma si presenta ottimamente nell’invogliare a leggere l’opera originale; per i già lettori invece spezia al meglio in emotività l’inizio di quest’avventura che ci auguriamo prosegua con nuove stagioni senza perdere se stessa.

Considerazioni finali: spoiler alert

Da amante di fiabe dark, distopie, scenari post-apocalittici e soprattutto storie che ci concentrano su legami di tipo fraterno, Yakusoku no Neverland ha presentato tutti quegli elementi che mi hanno convinta senza troppi se o ma.
Non direi che sono rimasta realmente sorpresa da qualcosa, ma non credo sia la sorpresa a giocare in modo vincente in questo contesto, quanto il modo di narrare gli eventi e la capacità dei personaggi di creare un legame empatico con lo spettatore. Come già avevo anticipato, ognuno di loro può risultare stereotipato ma il modo di porsi riesce a fare la differenza. Emma non può che essere la protagonista che traina l’opera, il suo ottimismo e i suoi buoni sentimenti sembrano renderla scontata, ma nelle situazioni di difficoltà, nel mostrare le sue debolezze, la sua paura e anche la capacità di razionalizzare per necessità, le creano un carisma tale da renderla un’eroina che facilmente si ama, che entusiasma lì dove mostra espressività poco graziose, inquietanti, ma così umane.
Al fianco dell’eroina non può che esserci una sorta di principe azzurro emblema di perfezione (geniale, affascinante, cortese) che è Norman. Smaschera subito i suoi sentimenti per Emma, quanto quella decantata eccellenza in tutto: mentre tutti ci convincono che lui sia il top, proprio per la sua centralità nella storia (che talvolta oscura Emma) lo vediamo approcciare con le sue ansie, le paure, la capacità di ambiguità morale per il suo fine, ma tra giochi e strategie si rivela quello essere soprattutto un ragazzino. Quel ragazzino però, con la sua rettitudine morale, ci commuove nello sforzo di mostrarsi forte ed accettare il crudo destino che lo attende, la sua dipartita non può infatti che essere uno dei momenti più alti dell’anime, per quanto – personalmente – non ho dubbi sul fatto che sia sopravvissuto.
Infine abbiamo Ray, che da tipo cool nei suoi momenti più disperati riesce a dare il brivido (e mi ripeto: Mariya Ise è fenomenale), soprattutto quando si cosparge di benzina per affermare il controllo sulla sua vita. Non si può rimanere indifferenti alla bellezza di una simile psicologia: il personaggio introverso e contorto che sappiamo aver protetto nell’ombra i suoi amici, non è più solo bello nel suo modo di amare in silenzio, ma perché oltre quell’armatura di stoicismo c’è una disperazione commovente sulla sua dignità.

Se ho trovato facile amare il golden trio della serie, non sono riuscita a disprezzare personaggi quali mamma Isabella e sorella Krone.
Sono due donne chiaramente provate da una non-vita: l’hanno digerita con difficoltà ed essa le ha rese  sub-umane. Sorella Krone con la sua bambola, silenziosamente ci mostra un dramma di desideri, negazioni, speranze e delusioni; in quella bambola c’è la manifestazione concreta di una mente provata. Nei suoi ultimi istanti di vita però tifa per gli umani, per quei bambini che voleva soggiogare, lascia a loro la sua ultima speranza per dare una dignità almeno alla sua morte.
Isabella è un personaggio molto diverso da Krone, eppure non così dissimile. Anche lei è arresa al sistema, ma la sua forza mentale l’ha portata lontana, anche perché con sé aveva il ricordo di un amore – seppur lontano – e al suo fianco un figlio vero, in carne ed ossa.
Che Ray sia il figlio di Isabella è chiaramente il colpo di scena che vorrebbe sorprenderci più di qualsiasi orrore, ma già dai primi episodi ho pensato che erano madre e figlio: gli sguardi, il modo in cui Isabella tenta di creare qualcosa di speciale tra loro, alcune somiglianze fisiche, mi hanno portata a credere fosse così. Non importa tuttavia se l’effetto sorpresa non l’ho sentito, perché è – ancora una volta – il modo in cui è rivelato che rende il fatto emotivamente coinvolgente.
In un mondo in cui l’amore non sembra permesso, in cui risulta inusuale, Isabella trova il suo modo di amare ed è chiaro – nonostante la sua posizione – che quei bambini li ha ama, nel suo volerli scoraggiare a lottare c’è amore, perché ha bisogno dell’illusione di felicità anche se essa ha una data di scadenza.
Emma questo lo capisce, nel suo addio c’è comprensione per la sua mamma e in quel momento l’egoismo dell’amore malato di Isabella si trasforma in speranza.
Yakusoku no Neverland è una storia che parla di compromessi per la sopravvivenza, ma non tutti vogliono sopravvivere, c’è chi vuole vivere e chi morire con dignità e sono rimasta davvero colpita come – in un breve arco narrativo – si esplorino differenti approcci alla vita e alla morte.
Spero davvero che la storia di questi bambini perduti non dimentichi mai con quanta profondità e dignità si è presentata nella disperata ricerca di Neverland.


Titolo originale: Yakusoku no Neverland (約束のネバーランド)
Altre denominazioni: Promised Neverland, YakuNeba
Studio d’animazione: CloverWorks
Origine: manga
Genere: horror, thriller, sci-fi, mistero, psicologico
Episodi: 12
Messa in onda: inverno 2019 (10 gennaio)
Regia: Mamoru Kanbe
Sceneggiatura: Toshiya Oono
Character design: Kazuaki Shimada
Main cast: Sumire Morohoshi, Maaya Uchida, Mariya Ise, Yūko Kaida, Nao Fujita, Lynn, Shinei Ueki, Hiyori Kōno, Ai Kayano
Opening theme: Touch Off  by UVERworld
Ending theme: Zettai Zetsumei by Cö shu Nie (ep. 1 – 8); Lamp by Cö shu Nie (ep. 9 – 11); Touch Off by UVERworld (ep. 12).