In Challenge/ Diario

#30DaysOfMe – Giorno 1: Sailor Moon

Challenge: 30 giorni, 30 opere che mi definiscono
Credits by @Erikaruna

“C’è della magia nel mondo!”.
“C’è un po’ di magia in ognuno di noi”.
Non si dovrebbe avere paura di dirlo ai bambini, non è un modo crudele per ingannarli, è una narrazione diversa. Frasi simili possono essere una lezione per far vedere il mondo in modo diverso, facendo scivolare l’infanzia tra personaggi e racconti fantastici, fino a toccare un tema su cui meditare profondamente. La magia.
Oh sì, perché i bambini pensano ai grandi interrogativi, ci ragionano, più degli adulti.
Da bambina ho inseguito e perseguito queste storie e questi personaggi, ho pensato alla bellezza e all’orrore della magia, grazie agli anime sulle ragazze magiche, majokko, se preferite.
Da La Maga Chappy (Mahō Tsukai Chappy) a Magica Emi (Mahō no sutā Majikaru Emi), da Lo Specchio Magico (Himitsu no Akko-chan) a Bia La Sfida della Magia (Majokko Megu-chan), da Lisa e Seya (Saint Tail) a È un po’ magia per Terry e Maggie (Miracle Girls), includendo in qualche modo i non-majokko Magic Knights Rayearth e The Slayers. Come un po’ tutte le bambine tra anni Ottanta e Novanta, volevo anche io essere una ragazza magica. Mi sarei accontentata di uno specchio magico o una bacchetta da illusionista con missioni meno eroiche, ma giorno dopo giorno alle elementari imparai a diventare “grande” e capire che non potevo essere come loro, ma potevo prendere il meglio da loro, continuare a seguirle da semplice spettatrice che si emozionava ed accontentava di giocare con la magia.

#30daysofmeTra tutte quelle serie, Bishōjo Senshi Sailor Moon ha avuto un posto speciale, con questo anime ho sognato la magia e accettato la realtà, dove la magia – in una forma diversa – esisteva e le avventure di Usagi Tsukino e le sue amiche ne erano la prova.
Questa storia di una ragazza apparentemente ordinaria che diventava una guerriera e si rivelava principessa proveniente dalla Luna, causava in me una certa gelosia, mista a fascinazione.  Quella ragazzina non era in grado neanche di arrivare puntuale a scuola, eppure aveva un grande potere: il potere di proteggere gli altri, di affermare la sua giustizia e sconfiggere il Male, quello vero, con una faccia mostruosa e poteri letali.
La magia in Sailor Moon non era solo un cambio di vestito, cuoricini scintillanti e coreografie luminescenti; erano poteri affascinanti – certo – ma quella magia che Usagi invocava dalla Luna, prima di essere efficace faceva muovere Usagi, la faceva correre, saltare, calciare, rotolare, sporcarsi, farla giocare di strategia. La magia non era immediata e scontata, ma veniva usata con discrezione e dopo aver combattuto, faticato.
La magia non è l’impossibile, la magia fa cose grandiose, fa sognare, porta lontani, ma invocare il potere di un cristallo o di un pianeta senza credere in se stessi, non porta a nulla.
Avere la possibilità di agire, mettersi in moto per cambiare qualcosa è un valore, ma non sempre agire può essere facile e senza conseguenze. Deve esserci responsabilità in noi, in quello che diciamo e facciamo, sempre, perché in tutti noi c’è il potere di creare, cambiare e distruggere.
La magia nell’universo di Sailor Moon era metafora di queste possibilità concrete, non banalizzava parole, azioni e intenzioni, ma mostrava quanto l’uso della magia per determinate scelte non sempre era facile, poteva essere affascinante ma rivelare anche limiti e lati oscuri.
C’erano psicologie complesse dietro quella patina colorata di bei visi e costumi alla marinaretta; dietro stelle e cuoricini colorati la vita di una ragazza magica si mostrava ben più dolorosa di quella di qualsiasi persona.
Ami invocava uragani d’acqua; Rei aveva pergamene sacre e il potere del fuoco; Makoto combatteva con arti marziali e fulmini e la mia adorata Minako aveva il potere della luce e combatteva con una catena. Non sempre quegli attacchi combinati erano efficaci e demoni o alieni non si risparmiavano di certo, facevano male, lasciavano lividi, le facevano sanguinare, ma queste ragazze si rialzavano e continuavano la loro lotta. La magia aiutava, la magia era stata sempre in loro, ma era un dono funzionale al loro compito, una responsabilità (anche troppo grande) che più che un dono sembrava una maledizione.
#30daysofmeAbbiamo visto Usagi piangere, ferita, in fin di vita, rimpiangere la sua ordinarietà, la sua vita da ragazza qualunque che nessuno vorrebbe. Abbiamo visto l’epifania dei poteri di Hotaru/Sailor Saturn finire quasi in tragedia.
Di drammi in Sailor Moon non ce ne erano pochi e, soprattutto, i finali degli archi narrativi raramente erano felici, anzi, avevano sempre delle note amare, c’era sempre una perdita. Nonostante ciò c’era una costante molto più forte di ogni dramma; se l’anime non si risparmiava con violenza, ingiustizia, lutti e vittorie disperate, ma in un momento di raccoglimento emergeva una speranza. Questa è la magia che ho trovato in Sailor Moon, in cui ho creduto, quello spiraglio di luce da afferrare per costruire qualcosa di nuovo, andare avanti.
Ho sorriso poco con Sailor Moon e versato molte lacrime, non lo dico però con amarezza: quella che ho provato è stata una bella tristezza e l’ho ricercata altrove, trovando in essa qualcosa di profondo, importante, che mi ha formata.
Dall’asilo ai primi anni delle elementari, le guerriere sailor senshi sono state con me, mi hanno presa per mano e guidata, spingendomi a credere che qualcosa di magico, misterioso e indefinito esiste nel mondo.
Certo, erano “solo cartoni animati”, sapevo che a Tokyo non esisteva alcuna ragazza magica, se alzavo lo sguardo al cielo però c’era la Luna. Non aveva un regno nella sua parte oscura, ma la Luna era lì, sempre sarà lì, come le storie e i valori che segnano il vissuto di ognuno di noi.