In Libri da Nerd

Recensione: Il Rilegatore (The Binding, Bridget Collins)

“No, è tutto sbagliato. Legatorie piene di uomini che non capiscono cosa stanno facendo… libri da vendere… Noi facciamo libri, libri bellissimi, per amore.” Si voltò e la sua espressione era dura come non l’avevo mai vista. “Amore. Capisci?”

La storia

Emmet Farmer è un giovane contadino che sta cercando di lasciarsi alle spalle un lungo periodo di malattia. Nella sua famiglia c’è apprensione ed agitazione, perché nonostante gli sforzi di tornare al suo quotidiano, non è in piene forze e ha ancora ricadute. In casa c’è apprensione, scambi di sguardi imbarazzati, parole gentili, parole sospese ed altre dette alle sue spalle.
Il senso di inadeguatezza di Emmet è sempre più forte, finché suo padre non annuncia che è arrivata una lettera dall’anziana rilegatrice di libri Seredith, la quale chiede che Emmet diventi suo apprendista.

Emmet ricorda quando da bambino, a una fiera, comprò un libro: quando suo padre scoprì che ne leggeva uno lo schiaffeggiò, dicendo che doveva vergognarsi, di non fare mai più una cosa del genere. Ancora ripensa a quel giorno, ancora non ha avuto una risposta ma è certo di una cosa: la sua famiglia considera immorali i libri, pertanto non comprende perché sia spinto all’apprendistato. L’anziana rilegatrice che vive lontana dalla comunità rurale e dalla città è conosciuta da tutti come “la strega”, girano voci sul fatto che lei rubi l’anima delle persone, come può la sua famiglia mandarlo lì? Loro dicono che farà bene alla sua salute, che guarirà definitivamente, ma in realtà hanno paura di una maledizione. Per Emmet vale la pena tentare, non è felice di tale decisione, ma deve ammettere a se stesso che l’idea di allontanarsi dalla famiglia un po’ lo consola.

Trasferitosi alle dipendenze di Seredith impara velocemente la parte manuale del mestiere, ma la donna lo tiene lontano dai libri e non dice quasi nulla sulla rilegatura. Emmet lavora sodo, aspetta paziente tra un risguardo e un altro, fa lavori domestici e non gli dispiace la sua nuova vita: Seredith è a suo modo una donna gentile e gli ripete che guarirà presto, deve solo pazientare per capire la sua dote di rilegatore.
La visita di un certo Lucian Darnay rompe il nuovo equilibrio creato: egli si presenta da Seredith prendendosi troppe confidenze con Emmet, mostrandosi maleducato e lanciandogli alla fine uno sguardo d’odio che – da quel momento – infesta le notti di Emmet con incubi. Il giovane apprendista torna a star male ma Seredith lo rassicura: la sua è una febbre del rilegatore, deve stare ancora male per ritrovare poi la salute, è solo un segno di quanto sia portato per quel mestiere.
Emmet, oltre a star male, è sempre più confuso: cos’è davvero un rilegatore? Perché Seredith vive isolata dal mondo? Per chi sono i libri se non vengono venduti? Perché Darnay lo spaventa tanto? Emmet desidera tornare a star bene, per questo è disposto ad investire tutto se stesso nell’apprendistato, ma in lui c’è anche la genuina curiosità di conoscere cosa sono davvero i libri.

The Binding

Realismo magico in un passato distopico

Bridget Collins con Il Rilegatore (The Binding, in originale) crea una storia fantasy-distopica ibrida, molto sui generis, teoricamente ambientata nel nostro mondo, in una qualche terra anglofona del Vecchio Continente dove il corso della storia è stato diverso, la società ha problematiche diverse e così la storia dei libri è ben diversa dalla storia dell’editoria che conosciamo.
Il Rilegatore è un romanzo intriso di magia, ma essa è ben diversa dai sistemi magici a cui la letteratura ci ha abituato: l’arte della legatoria è magia, ma chi la pratica non la chiamerebbe in questo modo, è più una sorta di tecnica psicologica che solo pochi eletti (e discriminati) possono praticare. In un romanzo sci-fi entrerebbe nell’ordinario, non associato alla magia, ma possiamo dire di trovarci davanti a un romanzo sci-fi?
Bridget Collins rende straordinario ed innovativo un carattere magico che esce dalla casa di una strega e, oltre le campagne, diventa elemento portante di un nuovo sistema economico.
Il lettore abituato al fantasy si chiederà: ma la legatoria è una magia buona o malvagia? L’autrice inserisce quest’arte in contesti variegati, spogliandola di una qualsiasi valenza morale, emergendo solo in rapporto agli uomini che la praticano e ne usufruiscono, così diventa come ogni azione umana capace di fare del bene o del male. Purtroppo nel mondo de Il Rilegatore la legatoria è usata nel peggiore dei modi, tanto da aver trasformato la società, creando nuovi sistemi di pensiero e incentivando la criminalità ad agire indisturbata in un mondo stordito e viziato da essa.
Ci aspettiamo dunque che un eroe intervenga a rivoluzionare tale situazione.
Ci aspettiamo che Emmet Farmer abbia il dono di cambiare le cose.
Possiamo avere aspettative molto logiche da Il Rilegatore, ma non c’è nulla di tutto questo perché Emmet non è un eroe, non ci sono eroi in questo romanzo, non ci sono rivoluzioni e toni epici e questo rende già di suo l’opera d’incredibile fascino.
I personaggi di Collins sono tutti realistici, molto umani – gran parte schifosamente umani -, animati da istinti bassi che perpetuano tanto da perdere se stessi e rendere l’umanità aliena alla vita. Se dobbiamo infatti trovare un villain, un antagonista, possiamo dire che è la società stessa ad incarnare questo ruolo, una società variegata e affatto banalizzata, di cui il romanzo ci mostra un’indagine psicologica sensibile ed interessante, in particolare sul tema del dolore. Questo mi porta a fare un dovuto avviso: non è un fantasy per ragazzi, è una storia cruda con aspetti molto grotteschi.

Diversi punti di vista

Il rilegatore

La scrittura di Bridget Collins è incantevole, elegante, musicale, evocativa e la traduzione di Roberta Scarabelli dell’edizione italiana non sminuisce il grande talento dell’autrice anche se, inizialmente, questa brillante capacità di modellare il linguaggio in forme sempre nuove e poetiche è rarefatta.
Nonostante io non ami il racconto in prima persona, Collins riesce a gestire questo punto di vista con intelligenza. O meglio, dovrei dire i punti di vista.
Il romanzo è strutturato in tre parti, ognuno con dei punti di vista diversi che influiscono sulla narrazione e in parte sullo stile, rivelando caratteri diversi e offrendo quindi anche molteplici emozioni e suggestioni. Un’abilità che è virtù, ma ad un primo approccio può essere anche un elemento ostico.
Emmet viene presentato come un personaggio malato che insiste sul farci sapere delle sue condizioni fisiche, ma allo stesso tempo è un contadino, un lavoratore, un personaggio semplice che si concentra sul lavoro e ci offre continue descrizioni di quello che fa. Non si entra però nei dettagli del lavoro artigianale di apprendista, piuttosto ci è offerta una sintesi di azioni quotidiane. Per quasi cento pagine si ripete la stessa routine, ci vengono descritti i lavoro domestici, i momenti di malattia e gli incubi di Emmet, con una scrittura molto sommaria. Vero è che Collins ci dà degli sprazzi del suo autentico talento letterario, ci mostra piccole fette del mondo esterno, quanto infittisce i misteri che circondano l’opera, ma questa staticità mi ha trascinata nella lettura per quasi una settimana.
Emmet appare un personaggio privo di personalità, così semplice da risultare banale quando si espone, possiamo compatire la sua condizione di malato ma, allo stesso tempo, risulta difficile entrare in empatia con lui. Solo in un secondo momento capiamo che quest’espressività è funzionale alla storia.
Verso la fine della prima parte si apre un mondo di prospettive, ogni cosa si anima e va dritta arriva al cuore degli eventi nella seconda parte, dove saggiamo gioie e dolori in una narrazione diversa, che tocca il sublime, finché nella terza parte cambia ancora, imponendosi con un’espressività più dura come sono gli eventi.

Criticità sul World Building

L’aspetto più originale de Il Rilegatore è senza dubbio il world building: un passato rivisitato in cui l’inserimento di un solo elemento magico cambia interamente la società, pur non essendo centrale nella vita quotidiana. È un’idea che apre a riflessioni profonde e non scontate, che ci fa abbracciare pensieri molto amari, quanto rivalutare le esperienze dolorose nella vita.
Non è uno scenario casuale e l’idea dà vita a un libro intenso ed originale come pochi negli ultimi anni, ma scavando all’interno di questa realtà se troviamo un terreno fertile per filosofeggiare, dobbiamo faticare per ottenere uno scenario e un tempo di riferimento.
Dalla presenza di nomi inglesi possiamo intuire di trovarci nel Regno Unito dove esiste una cittadina chiamata Castleford – luogo in cui è ambientata parte della storia. Anche se non possiamo esser certi sia la Castleford nei nostri giorni, sicuramente l’ambientazione è nel nostro mondo in quanto vengono menzionate Pompei e la Francia.
Se approssimativamente riusciamo a identificare una locazione geografica, non è così semplice contestualizzare il tempo. Seredith parla delle crociate e ha incubi su di esse, mentre per personaggi poco più giovani di lei le crociate sono eventi mai vissuti direttamente, ma considerate come se si fossero svolte in territori britannici.
Uno dei personaggi ci fa menzione di una storiografia dell’arte legatoria e in questo discorso menziona le crociate ma senza chiarire il loro rapporto con l’oggetto della conversazione. Parlando cita anche il Rinascimento come un periodo passato e l’ultima data che emerge dalla conversazione è il 1750, anno a cui si fa menzione per un fantasioso decreto. Nei termini in cui il decreto è menzionato possiamo assumere che appartiene a un tempo ormai remoto, oserei dunque ipotizzare che potremmo essere nella prima metà dell’Ottocento.
Un altro elemento curioso di questo mondo è che risulta assente qualsiasi tipo di sistema religioso nonostante si parli di crociate. Nessun testo sacro, nessuna tipografia, nessun Johann Gutenberg.
Il corso degli eventi storici è stato rivisitato dall’autrice e l’arte legatoria è sicuramente uno degli elementi che ha generato e influito su questo cambiamento. Lo scenario proposto è affascinante, il lettore non può che incuriosirsi e desiderare saperne di più, di esplorare a fondo questo mondo, ma purtroppo Bridget Collins ci dà solo briciole e si concentra su ciò che è funzionale alla trama, lasciando il resto nell’ombra.
Potremmo sperare in un sequel o in un’altra storia ambientata nello stesso universo letterario, dando un senso a ciò che è rimasto in sospeso, ma il prossimo libro dell’autrice – The School of Glass – sembra siderale al mondo di Emmet. Possiamo sempre sperare, ma indubbiamente un world building tanto promettente quanto approssimativo è la parte più amara da mandare giù.

Una ponte tra young e adult

Bridget Collins Rilegatore

Tra i libri più attesi del 2019, Il Rilegatore arriva in Italia a maggio edito da Garzanti, preceduto da un’unanime critica entusiasta in Inghilterra e USA, dove raggiunge le vette delle classifiche. L’edizione nostrana è curatissima ma non vanta – purtroppo – della meravigliosa cover originale.
Non sempre la critica riesce a crearmi delle aspettative positive su un libro, diffido dei facili entusiasmi, ma avevo adocchiato su GoodReads l’annuncio nel 2018, curiosa di averlo prima o poi e dargli una possibilità. Alla sua uscita leggere commenti superlativi da parte di una critica illustre mi ha ricordato che già avevo segnato questo titolo e volevo accogliere la sfida di chi l’ha definito il libro del 2019.
Bridget Collins, autrice di titoli young-adult per Bloomsbury, ha fatto del suo debutto nel mondo della fiction per adulti con un’opera che fa da ponte tra il fantasy per ragazzi e quello per adulti, dove convivono atmosfere e caratteri tipici di young-adult fantasy illustri come Harry Potter o Queste Materie Oscure, con tematiche e scenari che sembrano usciti dalle menti di Philip K. Dick o Ray Bradbury. Nonostante il mio tentativo di confrontare Collins a grandi autori, è giusto sottolineare che non ruba nulla ai maestri in quanto Il Rilegatore è un’opera davvero originale e dal difficile confronto con compagni di genere, portando una ventata di innovazione nel fantasy contemporaneo.
Tra i giovani autori con il desiderio di creare mondi oscuri per eroi in cerca di gloria e storie d’amore impossibili che si consumano davanti a scenari fantasy più morti che inclusivi, Collins ci offre la storia intima e personale di chi cerca un posto nel mondo, incantando con la sua arte narrativa.
Fantasy senza epica, senza gloria, senza azione si possono forse considerare noiosi, ma quando ci sono personaggi profondi, colpi di scena e percorsi letterari inesplorati si può creare ugualmente una storia avvincente, capace di ergersi sulle grandi avventure di cavalieri e maghi.

Considerazioni finali: spoiler alert!

Non gradisco il paranormal romance o quel genere di narrativa fantasy il cui unico contenuto rilevante è una storia d’amore. Mi piace che un rapporto nasca e cresca in un contesto realistico e variegato, mi piace conoscere i personaggi e vederli affrontare problematiche diverse da quelle di cuore. Quando una storia d’amore in un mondo fantastico ha interesse solo a raccontare di una relazione o deve affrontare come unica problematica il fatto che uno dei due non sia umano, non vedo sostanza né aspirazione artistica, diventa per me una lettura difficile e verso la quale finisco per avere scarso interesse.
La premessa che ho fatto mi è sembrata necessaria per parlare di Emmet e Lucian: credo sia sbagliato definire Il Rilegatore un romance in quanto su 420 pagine la loro relazione vive su meno di una cinquantina di esse. Il loro amore è il cuore e motore propulsore della vicenda, ma Collins usa l’amore per raccontarci di un mondo, di una problematica, di personaggi provenienti da contesti diversi, con personalità differenti senza i loro ricordi. La presenza di un solo “ti amo” in tutto il romanzo, ne è forse prova definitiva.
Emmet è un personaggio semplice ma che s’impara ad amare una volta messo a fuoco. Tornati i suoi ricordi il carattere viene definito, mostrando una personalità energica, determinata e più forte di quella che ci è proposta nelle prime pagine.
Lucian è un personaggio più complesso, il mio preferito, anche in vesti più ciniche. A differenza di Emmet, il Lucian senza memoria non è privo di personalità ma sembra privo di anima, perciò capace di spingersi a tutto, esplorando le zone più oscure dei suoi pensieri. Ho trovato meraviglioso e terribile il modo in cui la memoria sia identificata come anima, quanto questo sia più evidente con Lucian o con la povera Nell, il cui suicidio ci fa pensare a cosa era effettivamente diventa: una zombie.
La memoria è storia, è consistenza di vita, è forma di moralità quanto di intelletto; non mi ero mai soffermata a rifletterci così a fondo e a considerare uno scenario tanto terribile, anzi, credo che in pochi possano avere un immaginario così angosciante di un mondo che la rinnega per ignorare il dolore. In tempi in cui il revisionismo storico vuole affermarsi, tra persone che considerano le Giornate della Memoria una noiosa imposizione, Il Rilegatore – nella sua veste di fiaba oscura – offre una prospettiva preziosa e stimolante, facendo del dolore quel mattone importante per la costruzione non solo di noi stessi, ma anche di un presente migliore.
Dal momento che il romanzo si avvale a una così sensibile indagine psicologica, è un peccato non aver saputo di più su personaggi come Seredith ed Alta, quanto su De Havilland e il padre di Lucian.
La prima persona è inevitabilmente limitante e il romanzo non poteva che presentarsi in questa formula per la costruzione della storia, ma sono certa che un centinaio di pagine di approfondimento – soprattutto del mondo! – non sarebbero state di troppo, avrebbero piuttosto sfruttato il potenziale che è andato sprecato e che solo un altro libro potrebbe risolvere.
Nonostante le mie perplessità su ciò che poteva essere, ho apprezzato il finale aperto che – in genere – è sempre il mio tipo di finale preferito. Emmet e Lucian sono insieme, con i loro ricordi, nonostante il mondo sia marcio a causa dei suoi vizi, ma non è uno scenario così tragico se esiste ancora qualcuno che ricorda il significato di essere umani.