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Recensione: Sei di Corvi (Six of Crows, Leigh Bardugo)

Kaz Brekker non aveva bisogno di un motivo. Questo era quello che si sussurrava nelle strade di Ketterdam, nelle taverne e nelle caffetterie, nei vicoli bui e dannati del quartiere del piacere noto come il Barile. Il ragazzo che chiamavano Manisporche non aveva bisogno di un motivo più di quanto avesse bisogno di un’autorizzazione per spaccare una gamba, rompere un’alleanza, o per cambiare le sorti di un uomo girando una carta.
Naturalmente si sbagliavano, considerò Inej mentre attraversava il ponte sopra le acque nere del Beurskanal per dirigersi verso la piazza principale deserta che fronteggiava la Borsa. Ogni atto di violenza  era deliberato ed ogni cortesia erano legati a tanti fili invisibili da mettere in scena in uno spettacolo di marionette. Kaz aveva sempre i suoi motivi. Inej non poteva mai essere certa che fossero buoni.

La storia

C’è una sostanza, la jurda panem, che data a quegli umani dai poteri magici chiamati grisha, può aumentare in modo incredibile le loro capacità, tanto da diventare una minaccia.
Lo scienziato Bol Yu-Bayur, creatore della jurda panem, è ora prigioniero nell’inespugnabile fortezza di Fjerda, conosciuta con il nome di Corte di Ghiaccio, in mano a un esercito di un popolo nato con l’odio verso i grisha e dedito al loro sterminio.
A Kerch sono arrivati dei campioni di quella sostanza, si è visto che effetto devastante può avere sui grisha, così il potente e ricco Van Eck – in rappresentanza del Consiglio dei Mercanti di Kerch – prende contatto con il ladro Kaz Brekker che, a dispetto dei suoi diciassette anni, ha una pessima nomea nel luogo più malfamato della città, il Barile, dove gestisce la casa da gioco Club dei Corvi. Leggende metropolitane delle più tremende hanno costruito la fama di questo ragazzo zoppo, temuto e rispettato insieme alla sua “famiglia”, gli Scarti. Si è guadagnato il soprannome di Manisporche e nessun furto sembra impossibile a lui, così la richiesta: entrare nella Corte di Ghiaccio e far fuggire Bol Yu-Bayur.
Kaz non è uno sciocco ed è pronto a rifiutare perché sa che gli è stato chiesto l’impossibile, ma la ricompensa più grandiosa che abbia mai sognato anima la sua avidità, mettendo in conto la morte pur di ottenerla. Nel suo viaggio dell’impossibile ha bisogno però di una squadra composta dai migliori: una spia abile e forte, un tiratore, una garanzia per il loro premio, una grisha e un detenuto fjerdiano in cerca di vendetta. La migliore squadra se divisa dal principio non può assicurare il successo dell’operazione, ma la straordinaria ricompensa può cambiare le loro vite che son pronti a mettere sul tavolo da gioco del destino.

Dentro il Grishaverse

Con Sei di Corvi entriamo nel Grishaverse di Leigh Bardugo senza le presentazioni di un mondo da high fantasy che sarebbe opportuno conoscere dalla lettura di Shadow and Bone, primo volume della trilogia che ci porta nel cuore del Grishaverse. In Italia la trilogia di Shadow and Bone arriverà per Mondadori dopo la pubblicazione della duologia Sei di Corvi, il che potrebbe confondere le idee, ma considerando che le due storie sono ambientate in luoghi diversi possiamo – con qualche dubbio – lasciarci trasportare nel viaggio tra Ketterdam e Fjerda.
I grisha possono essere considerati una civiltà di maghi ben emancipati, con conoscenze avanzate e un forte esercito ma anche oggetto di pregiudizi, nonché vittime della ferocia del popolo di Fjerda. I fjerdiani sono un popolo di guerrieri, tradizionalisti, conservatori, animati da fanatismo religioso che li porta a dedicarsi alla cattura e allo sterminio dei grisha, considerati abomini, esseri demoniaci che non sarebbero mai dovuti nascere perché privi di umanità. Non viviamo lo scontro, la guerra, solo frammenti e conseguenze che delineano i personaggi di Matthias Helvar (fjerdiano) e Nina Zenik (grisha), quanto il loro rapporto che scuoterà il gruppo messo su da Kaz, affiancato dal suo fedele Spettro, la spia Inej Ghafa, e il tiratore con il debole del gioco d’azzardo Jesper Fahey, entrambi membri di lunga data degli Scarti. Sesto – ma non meno importante elemento – Wylan Van Eck, figlio del mercante che li ha ingaggiati, fuggito dal padre e in cerca di rendersi utile come chimico del gruppo, è ancor più utile a Kaz come assicurazione (ostaggio) per la riscossione del premio.
Sei di Corvi si rivela interessante in quanto antitesi della cerca o dell’avventura eroica, seguiamo le vicende di un gruppo di ladri infatti, qualcosa che ricorda fortemente il film Ocean’s Eleven – e troverete in molti a fare il paragone – ma c’è del buono in quello che fanno, c’è del buono in ognuno di quei sei e l’espediente del viaggio – come sempre – scaverà dentro di loro, facendo crollare convinzioni e lasciando spazio a qualcosa di nuovo per fiorire.
L’avventura e l’azione sono assicurate, meno l’esplorazione del mondo poiché Leigh Bardugo – pur essendo molto descrittiva – punta a rendere centrali i personaggi e non gli eventi, indagando nel loro intimo, piuttosto che nei grandi e piccoli spazi dove respirano. C’è di buono che il mondo creato dall’autrice non confonde il lettore, anche senza Shadow and Bone riusciamo a entrare negli spazi e a capire gli eventi; è un mondo molto particolareggiato d’altra parte, ricco di nozioni, lingue e tradizioni, peccato solo che tutto sembri rimanere sempre sullo sfondo o attuo a colorare dialoghi, piuttosto che essere pienamente vissuto.

Sei personaggi in cerca d’autrice

La storia è narrata da diversi punti di vista che – come una catena di montaggio – costruiscono l’azione, gli eventi, creano contenuto, guardano al passato. Non è una narrazione in prima persona, per cui c’è introspezione senza restrizioni, un’ottimo approccio narrativo che nella struttura del romanzo avrebbe creato confusione nei passaggi bruschi da uno sguardo all’altro. La confusione arriva dai flashback integrati alla narrazione presente, ai virgolettati di pensieri o discorsi passati che si alternano alle caporali dei discorsi diretti del presente e – in più di un’occasione – si confondono (errore editoriale o confusione dell’autrice?), concedendo solo poche volte degli stacchi di paragrafi che avrebbero aiutato la separazione tra presente e passato. Ci si abitua, si va incontro all’autrice, ma ho trovato questo modo di narrare fastidioso, invalidante in rapporto allo stile semplice e chiaro di Bardugo. Ahimé, non è  l’unica caratteristica dell’autrice con cui ho litigato: gli osannati personaggi di Sei di Corvi sono un cast a cui Bardugo non rende giustizia.
Premessa: i sei ragazzi di per sé mi sono piaciuti, sono delineati in modo interessante, ma ho trovato che risultassero macchiette rispetto a ciò che potevano essere, potenziali sprecati di idee e contenuti che annacquano in una narrazione che li scopre solo parzialmente e in modi anche un po’ banali. Da che ho iniziato la lettura con simpatie e curiosità per ognuno di loro, a che ho visto l’autrice ridurre gradualmente il potenziale di ciascuno. Salverei giusto Matthias e Wylan, i personaggi inseriti meglio nella storia, pur non avendo mai il punto di vista di Wylan (che attendo in Il Regno Corrotto).
Cassandra Clare ha fatto forse scuola a Leigh Bardugo? Nella dedica dell’autrice a fine romanzo, ci rivela di aver chiesto consigli per la trama all’autrice di Shadowhunters. Forse questo tocco un po’ si vede, poiché la narrazione salta di coppia in coppia e il focus narrativo è sempre sul legame tra due personaggi che si muovono in una trama che sfuma sempre di più, diventando caotica e poco comprensibile nelle parti d’azione.
La tanto celebrata originalità della storia e dei personaggi tra l’altro deve essere smentita: ci sono molti prestiti letterari e cinematografici, gli stessi personaggi non appena incontrati mi è sembrato già di conoscerli (la stra-grande maggioranza di manga ha personaggi ed avventure simili, per esempio). I prestiti e i cliché però non sono da condannare, perché qualsiasi autore con una forte personalità può differenziarli creando qualcosa di unico e Bardugo ci prova a fare la differenza, apre quello spazio, ma rimane uno spiraglio poiché scrive sempre nella sua comfort zone.
Ho provato a riflettere molto prima di scrivere questa recensione, cercare di individuare dove potesse essere il problema, non credo di avere la soluzione, ma apro all’ipotesi che il problema potrebbe esser dovuto al fatto che  Sei di Corvi ci presenta dei personaggi adulti che non sono tali. Traspirano anzianità ed esperienza, sono personaggi presentati fatti e formati, riconosciuti come adulti nel mondo e il più grande, Matthias, ha solo diciotto anni. Non dubito che ci fosse l’intenzione di parlare di ragazzi cresciuti troppo in fretta, che per necessità sono diventati adulti prima del tempo, ma la sensazione non è questa. Ci sono personaggi che sembrano più che formati ma che non appena riflettono su se stessi li vediamo incerti su tutto; non è un gioco di maschere, ma un vero e proprio conflitto che talvolta li rende molto umorali (soprattutto Kaz) quasi avessero una doppia identità. La bidimensionalità di questi personaggi evidenzia i conflitti tra gli adulti e i bambini che sono, proprio perché Bardugo scrive solo su queste due comfort zone senza creare un ponte, senza esplorare altri aspetti delle loro personalità, rendendo la loro psicologia parziale (e per me poco coinvolgente). Forse in uno young-adult sono io a chiedere troppo?
In verità la Bardugo ha uno stile che punta molto sulle descrizioni, la sua è una scrittura analitica, semplice ma non puerile, sa essere molto precisa e non è difficile comprendere il world building. Le capacità le ha, non c’era nulla fuori dalla sua portata se non – ipotizzo – l’interesse di concentrarsi su altro. Sei di Corvi forse voleva essere uno spin-off incentrato sui legami? Non stento a credere nell’intenzione di creare un romanzo diverso con tre storie d’amore avvincenti durante una grande avventura, ma per i miei gusti è stato un minestrone non omogeneo.

Considerazioni finali: spoiler alert!

Kaz&Inej, Matthias&Nina e Jesper&Wylan: sei personaggi abbiamo e sei personaggi devono mettere le basi per una storia d’amore, l’espediente più arcaico per nutrire i lettori di qualcosa in più di una semplice avventura, strategia che a volte riesce ad oscurare la trama e lascia il dubbio della sua esistenza. Ormai nei fantasy young-adult è la regola, motivo per cui non amo molto questo genere, pur presentando esempi illustri, ma finché sono divertissement letterari, per uccidere la noia, non bado troppo a queste forme e Shadowhunters per me è stato un bel divertimento, pur riconoscendogli infiniti difetti. Quando un prodotto fa successo si tende però a considerarlo il top e si va allineandosi a quel tipo di forma, anziché superarla e in questo Cassandra Clare è stata un’ispiratrice pericolosa.
Leigh Bardugo ha una penna più consapevole della Clare, la costruzione di queste love story sono graduali e motivate, quanto l’autrice si sforza a non mettere all’angolo la trama – e in parte ci riesce – ma se non riesci ad appassionarti a questi lati romantici è molto probabile che gli sbadigli prevalgano.
Vorrei prendere in esempio Kaz: un protagonista che dalle prime righe mi aveva entusiasmata, con una backstory emozionante, un carattere duro, orgoglioso, apparentemente incapace di ragionare con il cuore perché fin troppo calcolatore. Ci aspettiamo che qualcuno riesca ad ammorbidirlo, ci aspettiamo di trovare qualcosa di autentico e buono in lui, ma non mi aspettavo di trovare un lunatico che è incapace di essere lucido senza Inej, non mi aspettavo un personaggio incapace di concentrarsi perché tutti i suoi pensieri sono rivolti a Inej; non mi aspettavo pagine e pagine melense e melodrammatiche che me lo hanno reso stucchevole. Mi piace che sia esplorata la fragilità di un personaggio, mi piace vedere che c’è del buono, che l’amore può salvare, non mi piace però l’incoerenza e un esasperato cambiamento umorale che porta da un estremo all’altro. Ho amato facilmente Kaz e ancora più facilmente sono rimasta delusa dalla sua evoluzione, trascinandomi con la lettura, facendo lunghe pause.
Considerata l’esaltazione intorno alle abilità narrative e stilistiche di Leigh Bardugo, dove ho trovato oggettivato un talento senza paragoni, immaginavo di trovarmi un’autrice che poteva far scuola a J.R.R. Tolkien, Ursula Le Guin e C.S. Lewis messi insieme (tanto certi elogi erano appassionati ed entusiasti), quando mi sono trovata tra le mani Sei di Corvi la delusione ha prevalso perché le aspettative erano altissime, invece per onestà intellettuale non posso che riconoscere Bardugo come un’autrice abbastanza nella media nel panorama Young Adult. E, sono sicura, senza la pubblicità adorante che ho trovato di blog in vlog, avrei apprezzato maggiormente Sei di Corvi.
Sono curiosa di leggere Il Regno Corrotto, spero che ripari ad alcune delusioni e di trovare qualche sorpresa che mi porti a rivalutare la duologia, soprattutto sono curiosa di leggere anche il punto di vista di Wylan perché è stato il mio personaggio preferito, ha molte caratteristiche che di solito mi fanno amare un personaggio, senza contare che il suo ruolo (e le sorprese intorno a lui) le ho trovate davvero ben ponderate. Potenzialmente tutti i personaggi hanno aspetti interessanti e che potrebbero sorprendere, quindi la mia speranza non si costruisce solo intorno a Wylan, anzi, spero di ritrovare soprattutto amore per Kaz che vorrei tornasse ad essere il mio preferito.