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Ao no Flag (KAITO)

“La tua ragazza. Il tuo migliore amico. Se potessi salvare solo uno di loro… ” la classica domanda trita e ritrita “…chi sceglieresti?”
Io… be’… non ho nessuno dei due, quindi non mi importa.

È la primavera dell’ultimo anno delle scuole superiori per Taichi Ichinose, un ragazzo introverso che non ha affetti stabili né sogni per il suo domani.
Il suo amico d’infanzia, Touma Mita, il popolare campione della squadra di baseball della scuola, è in classe con lui per questo ultimo anno ma la cosa non sembra toccare molto Taichi: dalle medie il loro legame si è gradualmente affievolito e, anche se Touma parla e scherza con Taichi, agli occhi del nostro protagonista fa parte ormai di un altro mondo.
Nella stessa classe una ragazza piccola, timida e maldestra – Futaba Kuze – fa capire a Taichi di avere una cotta per Touma, come tutte le ragazze della scuola, del resto. Taichi non vorrebbe esser coinvolto negli affari personali della ragazza, ma prende a cuore la questione e decide di aiutarla ad essere più sicura per potersi dichiarare al ragazzo dei suoi sogni che, nonostante la popolarità, è ancora single.
Taichi in realtà sa perché Touma è single: c’è una persona che gli piace, non sa chi sia, ma dalla descrizione fatta, è tutto l’opposto di quello che è Futaba.
Aiutare Futaba non sembra un atto altruistico a questo punto, ma nel presente di quella primavera qualcosa si mette in moto, cambia, inconsciamente, qualcosa che i tre neanche immaginano sta per fiorire o precipitare in un baratro oscuro.

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Uno shōjo manga su Shōnen Jump?

Un titolo come Ao no Flag serializzato su Shōnen Jump + (la piattaforma digitale di Jump che in occidente è confluita nel progetto Manga Plus) è anomalo.
Alla lettura dei primi capitoli il manga di KAITO ha un canovaccio narrativo, atmosfere e situazioni tipiche di un ordinario shōjo manga. L’effetto è abbastanza straniante se non si conosce il mondo editoriale giapponese che pur avendo creato delle tipologie ben definite ha eccezioni e ambiguità fumettistiche che confondono un occidentale. Shōjo, shōnen, josei, seinen… sono termini a cui noi facciamo attribuzioni spesso inesatte, in quanto sono catalogazioni editoriali basate su un certo progetto editoriale, nati con un target in mente ma, non per questo, obbligati a seguire una formula, anche se alle spalle hanno politiche, correnti di pensiero e valori a cui i manga devono generalmente rispondere.
Ao no Flag richiama un tipo di estetica, di trame e di narrazioni del tutto estranee a quelle da sempre proposte dalla rivista più famosa di Shūeisha, se non per un elemento che può accomunarlo a Boku no Hero Academia o a Naruto: Ao no Flag è un racconto di formazione.
Tra magia, epoche dimenticate, mondi fantastici, lotte all’ultimo sangue, avventure pericolose e situazioni fuori dall’ordinario, Jump si è sempre interessata a portare sotto i riflettori storie di formazione, proprio perché il suo pubblico è per la maggior parte composto da adolescenti.
Ao no Flag non può portare in mondi lontani, non può portare messaggi positivi con metafore di combattimenti e magie, ma con uno stile delicato e parole sensibili, viaggia tra i sentimenti di adolescenti diversi tra i banchi di scuola e le mura delle proprie stanze, ricordi del passato e confessioni dolorose. KAITO con molta sensibilità – e qualche distinguo – entra nel mondo dei sentimenti, dei dubbi, degli umori dell’adolescenza proponendo un’opera molto convincente da questo punto di vista, realistica nelle sue analisi psicologiche e dove non nasconde un forte impegno pedagogico. La finalità è l’educazione attraverso la riflessione, un’educazione su un tema mai toccato realmente da Shōnen Jump: identità di genere e scoperta della sessualità.
KAITO poteva – forse voleva – proporre un viaggio attraverso una riflessione sul mondo LGBT+ e sui comportamenti e le aspettative legate al genere, ma Ao no Flag – o Blue Flag, se preferite – non è così ambizioso, l’originalità non è il suo forte, propone infatti trame, conversazioni, personaggi e situazioni già affrontate da circa cinquant’anni su altre riviste. Ciò che suscita curiosità in Blue Flag e lo rende accattivante è proprio la sua collocazione editoriale, l’essere qualcosa di inedito sulla rivista più venduta di tutto il Giappone.
Quanto è importante quest’aspetto prettamente editoriale? Probabilmente più di quanto possiamo immaginare. KAITO propone una storia che cerca di essere coraggiosa e anticonvenzionale, di fatto non lo è, ma l’impegno si nota e facilmente conquista rendendo il manga facile da amare. L’aspetto negativo è che, purtroppo, i 54 capitoli di Blue Flag risultano davvero pochi rispetto la portata dell’opera. Se di KAITO vediamo la grande sensibilità con cui approccia alle psicologie dei personaggi, scavando nel loro intimo, dall’altra parte ci sono intere parti di storia, personaggi, situazioni e questioni che sono lasciate in sospeso con una superficialità che lascia a dir poco perplessi, contraddittoria rispetto alla narrazione avviata. Come può un’opera essere così discordante con se stessa e i suoi intenti? Di solito, quando questo accade, nell’editoria manga sappiamo quasi con certezza che non è colpa dell’autore ma dell’editor. Un caso di censura? L’impossibilità di continuare la serie? Il bisogno di chiudere entro pochi capitoli? Queste sono solo ipotesi ma i difetti pesano lì dove una storia pecca di incongruenze e mancanze, soprattutto se queste riguardano aspetti importanti – se non fondamentali – a livello di trama.

FangirlinkIl triangolo considerato e gli eventi sconsiderati

La mia critica potrebbe sembrare un voler gettare fango sull’opera, ma – ahimé – per certi versi Blue Flag mi ha conquistata, emozionata, grattando sulla superficie di ricordi e troopes di titoli che ho amato, con il tentativo di attualizzarli e inserirli nel complesso contesto di una fragile realtà.
Non sempre proporre una formula conosciuta è noiosa, non sempre è mancanza di originalità. I prodotti di formule sono alla fine più ricercati delle sperimentazioni proprio perché si è testata l’efficacia di un effetto positivo.
KAITO ripropone formule ma rischia, si mette in gioco, nel raccontare un triangolo di fragili equilibri e potenziali, devastanti, conseguenze. Taichi aiutando Futaba si innamora di lei e sviluppa una sorta di gelosia verso Touma, ma i tre formano presto un trio legato da una forte amicizia che complica il tutto. D’altro canto Touma percepisce un potenziale e una bella chimica tra Taichi e Futaba, peccato che il suo oscuro segreto lo faccia soffrire: lui è innamorato da sempre di Taichi ma sa che il suo sogno non ha futuro.
A complicare il nervoso equilibrio del trio si inserisce la migliore amica di Futaba, Masumi Itachi, la quale è venuta a conoscenza del segreto di Touma e lo comprende perché… lei è come lui, innamorata da sempre di Futaba. Masumi vorrebbe però solo la felicità della sua amica, per questo rimprovera Taichi nel supportarla per dichiararsi a Touma: anche se non conosce i sentimenti del suo amico, sa che non c’è speranza per lei. Eppure questi personaggi lottano per se stessi e per i loro sentimenti, come in uno shōnen battle si combatte contro le insicurezze, le difficoltà, per raggiungere chi si ammira e essere un po’ come loro. Non importa se questa dinamica è la dinamica di una qualsiasi storia adolescenziale: nella sua onestà e nei sentimenti che trapelano tra le pagine, l’occhio si fa umido, soprattutto vedendo tutti i loro difetti e la grande umanità di personaggi che non sono e non saranno mai eroi, ma che almeno voglio essere liberi semplicemente di essere se stessi.
Il merito di ragionare intorno a questo, di unire tecnica e cuore al fine di spronare ad abbracciare la propria unicità (che include sempre una diversità), è importante sia presente in una rivista che influenza fortemente la cultura e il pensiero degli adolescenti. Se Shūeisha può fare questi timidi tentativi con uno scopo meno nobile, c’è da apprezzare il carattere dialogante di questo manga che arriva anche ad abbattere la quarta parete per tendere la mano al suo lettore e farlo entrare in empatia assoluta con la storia.

Considerazioni finali: spoiler alert!

Ho avuto emozioni contrastanti alle pagine finali: da una parte sorpresa, da una parte gioia, da una parte rabbia.
Se non contestualizzassi le ultime pagine direi che il finale è perfetto, realistico ma originale, una sorpresa che scalda il cuore: il dolore di un sogno romantico diventa un ingranaggio per maturare e scoprire nuovi sentimenti, un amore diverso che sorprende.
Il rapporto tra Taichi e Touma dovrei amarlo, dovrebbe aver solleticato le simpatie della fangirl che è in me, ma confesso che questa chimica speciale io non l’ho sentita, anzi, ho trovato il rapporto tra Taichi e Touma il meno interessante. Quel bellissimo finale mi è sembrato inadeguato a loro, alla storia, quasi forzato, eppure… potrebbe aver senso, perché il salto temporale è spaventoso e le questioni non risolte troppe. L’epilogo che KAITO propone è quello di una storia che non conosco, di un’alchimia diversa, di un coraggio parziale, di trame non risolte, di soluzioni che non ho compreso in rapporto a quanto narrato.
Mi sento ingrata nel lamentare che uno shōnen manga finisca con una coppia gay, perché è un piccolo granello di diversità in un panorama eteronormativo, ma non sono riuscita ad affezionarmi come avrei voluto a quel rapporto. Sono una fangirl, sì, ma non per questo vorrei coppie gay indiscriminatamente, soprattutto se non vedo e sento la chimica. Ao no Flag mi ha emozionata, ma non per quello che c’è tra Taichi e Touma, ovvero un’amicizia che vive di nostalgia e con molte problematiche da superare per tornare ad essere gli amici di un tempo.
Un sottotesto, un dubbio, una confusione, un’ambiguità sarebbe stata una hint gradita, qualcosa che avrebbe espresso al meglio – secondo me – quel finale. Inoltre detesto le trame dimenticate (Masumi Itachi) e lo sforzo pedagogico (ma polemico) nel parlare di argomenti delicati senza esserne davvero all’altezza.
L’impegno e i tentativi sono da apprezzare? Non sono totalmente d’accordo a riguardo: se delle tematiche sono importanti all’interno di una trama, devono essere trattate bene, non con un’atteggiamento aggressivo e bacchettone, tendente a silenziare chi fa da antitesi.
Ao no Flag è un manga controverso, non racconta nulla di nuovo, ha problemi a livello strutturale e personalmente certe dinamiche non mi hanno convinta, ma per quanto la mia lista di critiche sarebbe lunga, se un manga causa riflessioni, accende discussioni, merita per principio di esser letto perché qualcosa è riuscito a trasmetterlo.
Ho visto tanto potenziale inespresso che mi ha resa frustrata, dinamiche già lette e rilette altrove, ma a prescindere questa storia di formazione ha le sue peculiarità tra poesia e realtà che ancora mi fanno sorridere e vorrei far prevalere su ogni criticità.