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Prime Impressioni: Rurouni Kenshin Perfect Edition

Tutti nascondono qualcosa del proprio passato di cui preferirebbero non parlare.
Lo stesso vale anche per te, vero? Non è per questo che fai il vagabondo?

Al tramonto dell’Era Tokugawa, in quel periodo conosciuto come Bakumatsu, caratterizzato da disordini e rivolte (Guerra Boshin), per le strade di Kyoto c’era uno spadaccino che si macchiò di molteplici omicidi. Costui, conosciuto come Battosai l’Assassino (Hitokiri Battosai), al termine delle rivolte sparì ma la sua fama divenne leggenda.
Nella Periferia di Tokyo, ne 1879, undicesimo anno dell’Era Meiji, Battosai sembra esser tornato.
Una giovane, Kaoru Kamiya, sta cercando Battosai e vuole sconfiggerlo; vedendo un ragazzo dalla chioma rossa aggirarsi per le strade con una spada (di cui era vietato il possesso) deduce che sia Battosai e lo attacca. L’uomo è debole, si presenta come un vagabondo e mostra la sua sakabato, spada dalla lama invertita, impossibilitata a ferire. Mentre discutono, Battosai compare, Kaoru lo attacca, ma viene ferita e il vagabondo interviene portandola via.
Una volta arrivati in casa di Kaoru, il vagabondo scopre di essere in un dōjō dove s’insegna kenjutsu (la scherma giapponese) di cui Kaoru è vicemaestra. Il defunto padre di Kaoru, fondò una scuola inseguendo l’ideale di una “spada che protegge la vita”, ma il celebre assassino sta seminando terrore, dichiarando di provenire dalla scuola Kamiya, infangandone il nome.
L’ingenuità e il buon cuore di Kaoru si scoprono esser state sfruttate da un uomo a lei vicino che ha cercato di prendersi cura della giovane alla morte del padre allo scopo di sottrarle la palestra. Inseguendo una falsa pista, si trova di fronte alla dolorosa verità troppo tardi, ma il vagabondo – allontanatosi per fare lui stesso delle indagini – scopre in tempo chi sono i responsabili, intervenendo in aiuto della ragazza.
Il vagabondo è Battosai Himura, desideroso di lasciarsi il passato alle spalle, rivela la sua identità e punisce i criminali, ma rifiutandosi di spargere sangue come in passato. Aiutata Kaoru, Battosai vuole tornare a vagabondare, ma la ragazza non riesce a lasciar andar via lo spadaccino, non gli importa chi è stato e cosa ha fatto. Se non vuole aiutarla a rimetter in piedi il dōjō, Kaoru vorrebbe almeno conoscere il vero nome dell’uomo e non quello di battaglia. Colpito dalle parole della giovane, il guerriero rivela di chiamarsi semplicemente Kenshin, decidendo di rimane con Kaoru, almeno per un po’.

Un manga storico e politico

Rurouni KenshinNobuhiro Watsuki, pubblicò il primo capitolo di Rurouni Kenshin sulle pagine di Weekly Shōnen Jump nell’aprile del 1994. Il manga fu un successo e nel 1996 ne conseguì un adattamento anime con la regia di Kazuhiro Furuhashi (HunterXHunter, Le Chevalier D’Eon, Dororo) con i primi 66 episodi prodotti dallo Studio Gallop e i restanti episodi con lo Studio Deen. L’ultima puntata, l’episodio 95, andò in onda nel 1998, mentre la serializzazione del manga continuò fino al settembre del 1999. Pubblicato l’ultimo capitolo, non si conclusero le vicende del samurai vagabondo, il personaggio era diventato iconico e presto seguirono spin-off, light novel, OAV, videogiochi, live action e nel 2017 un sequel, Rurouni Kenshin: The Hokkaido Arc, attualmente sospeso.
Torniamo indietro nel tempo, a quel primo capitolo che fu inizio di un manga epico, che venderà oltre settantadue milioni di copie in tutto il mondo. Basta leggere solo quel capitolo per capire la portata della storia e il suo essere un manga decisamente atipico per un rivista come Weekly Shōnen Jump.
Kenshin Himura con il suo aspetto effeminato e fanciullesco, un carattere gentile, talvolta al centro di gag che lo rendono un virtuoso divertente, può essere facilmente riconducibile a molti degli eroi dei titoli più importanti di Jump. Il vagabondo non deve lasciare ingannare però, quando combatte le sue parole sono efferate diversamente dalla sua lama; non è un sognatore ricco di buone intenzioni ma un personaggio estremamente realista, lontano ormai da qualsiasi ideale politico, legato solo a una personale filosofia. Kenshin è un antieroe, ha massacrato innumerevoli persone, non condivide la linea di pensiero del dōjō Kamiya, ma il suo passato è un peso che deve portare e farne ammenda. La sua vita diventa così rivolta a proteggere gli altri, senza più uccidere, ma ogni incontro/scontro che coinvolgeranno Kenshin, saranno ben lontani dall’essere indolori e slegati dal suo passato.
Rurouni Kenshin non è semplicemente un manga ambientato nell’Era Meiji e non è un racconto nostalgico dell’Era Tokugawa (quella del feudalesimo e dei samurai, per intenderci); esso è panoramica storica volta ad analizzare la società di quel periodo, evidenziandone le problematiche (tutt’ora contemporanee in Giappone), le ipocrisie, gli ideali fallaci, la corruzione. Nobuhiro Watsuki con Rurouni Kenshin si rivela coraggioso nel cercare le ombre di un passato tanto caro al popolo giapponese, criticando e spogliando dall’idealizzazione personaggi realmente esistiti, considerati eroi, e cercando di umanizzare e mettere sotto una luce diversa personaggi che la storiografia ha condannato.
Watsuki, attenzione, non è un revisionista né con il suo manga cerca di creare un’antitesi della storiografia giapponese, semplicemente cerca attraverso Kenshin di trovare un punto di neutralità per riflettere sul passato, sui fervori politici di ieri e di oggi. Il suo personaggio non deve essere un rivoluzionario, ma è qualcuno che tenta di trovare un modo personale per contribuire al cambiamento e dare speranza al Paese.
Manga che trattano argomenti politici sono rari in Giappone e il peso politico di Rurouni Kenshin è talmente importante da risultare insolita la pubblicazione su una rivista come Weekly Shōnen Jump. Realista, crudo, filosofico, controverso, questo battle shōnen si differenziò da opere come Dragon Ball, Saint Seiya, YuYu Hakusho, grazie a una profonda dimensione psicologica e sentimentale, anche se titoli controversi e assimilabili a Kenshin, erano già stati pubblicati, si basti pensare a Hokuto no Ken (1983) Le bizzarre avventure di JoJo (1987) e Bastard (1988). Negli anni Novanta però i battle shōnen avevano preso una piega ben diversa, così che la pubblicazione di Rurouni Kenshin non solo risultava anomala, ma per certi versi rivoluzionaria.
Per ritrovare un titolo spigoloso e critico come Kenshin sulle pagine del celebre settimanale di Shueisha, dovremmo aspettare il dicembre 2003, inizio della serializzazione di altri due manga che diventeranno cult: Death Note e Gintama.

Commento al Primo Volume della Perfect Edition

Rurouni KenshinRurouni Kenshin arrivò in Italia prima all’interno della rivista Express e a seguito pubblicato in volumi grazie a Star Comics il 1 aprile del 2001, a due anni della fine della serializzazione giapponese. L’edizione era in 28 numeri come quella giapponese e l’ultimo volume fu pubblicato nel luglio 2003.
Tre anni dopo, in Giappone arriva una nuova edizione composta da 22 volumi, arrivata a noi oggi con il nome di Perfect Edition.
Il primo volume, in formato 14.5×21 è grande ma non ingombrante, la sovraccopertina ha uno sfondo bianco con decorazioni floreali in un brillante argento e il titolo in giapponese di un nero lucido. Tolta la sovraccoperta, il volume si rivela in viola, con le bozze di studio del personaggio di Kenshin Himura. Il vero spettacolo però è il contenuto in 244 pagine, composte da 8 capitoli e un episodio extra. La parte introduttiva del manga è in carta ruvida e ha illustrazioni fino all’inizio della storia che, per ben 30 pagine, offre tavole colorate che vanno a riproporsi più occasionalmente nel resto del volume. Un vero spettacolo per gli occhi che intensifica le emozioni date dal manga.
La traduzione di Yupa (stessə di Card Captor Sakura) è buona, inoltre il volume è correlato di tante note, importanti per un manga storico. Peccato che in certe parti non siano abbastanza.
La Star Comics ha fatto un ottimo lavoro per un buon prezzo (9,00 euro), ma credo che una storia come Kenshin meriti una cura in più, risolvibile anche con una pagina o due a termine del volume. Il nostro protagonista, presentato come Battosai l’Assassino, ha una nomea che lo fa sembrare un serial killer e nel momento in cui Kaoru dice che suo padre non condannava gli assassini, la confusione può aumentare ulteriormente. Kenshin non era semplicemente un assassino, era un hitokiri.
Letteralmente, il termine hitokiri si può tradurre come carnefice di uomini, per tanto la traduzione in assassino non è errata da un punto di vista linguistico, ma gli hitokiri non erano massacratori allo sbaraglio. Hitokiri fu l’appellativo dato a quattro samurai (Tanaka Shinbei, Kawakami Gensai, Kirino Toshiaki e Okada Izo) che durante il Bakumatsu, per via della loro radicale opposizione alla shogunato, furono impiegati come assassini per conto di un altro samurai, Takechi Zuizan, leader del partito Partito Imperialista di Tosa.
L’ideale politico-rivoluzionario di questi samurai era volto alla caduta del feudalesimo, e individuavano come nemici non solo lo Shogun e i suoi fedeli, ma anche gli invasori stranieri (definiti “barbari”). Zuizan (conosciuto anche come Takechi Hanpeita) decise di impiegare i quattro assassini per creare disordine, un atto terrorista che lui stesso definì come punizione del Cielo (in quanto l’Imperatore era considerato un discendente divino).
Menzione a questo nel manga viene fatta nel secondo capitolo, il quale dà un’idea più chiara su chi sia stato Battosai Himura, ma una semplice nota poteva chiarire e approfondire l’identità di Kenshin (o meglio dire, Battosai), il cui personaggio è basato tra l’altro su Kawakami Gensai. A volte, è meglio non tradurre alcuni termini e correlarli piuttosto di una nota, perché in un manga storico dove la politica è un tema importante, questa attenzione in più deve esserci. Come ho scritto, nel volume sono presenti molte note e mi rendo effettivamente conto di quanto può essere antipatico riempire una pagina di annotazioni, per questo non sarebbe stata un’idea malvagia aggiungere una pagina che inquadrasse meglio il personaggio e spiegasse qualcosa in più della Guerra Boshin.
Non voglio dilungarmi oltre su questo tema, perché nonostante tutto sono davvero felice di questa pubblicazione, tanto che ho maneggiato, riletto, ammirato le pagine più e più volte, con un entusiasmo quasi infantile, perché edizioni così curate sono rare. Spesso è difficile che un solo capitolo faccia innamorare di un titolo, con Rurouni Kenshin invece è stato semplice, il suo protagonista modesto, complesso e un po’ filosofo conquista in pochi baloon e mostra quanta profondità può esserci anche in un battle shōnen.