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Nostalgia canaglia per i “cartoni animati”

Mi sono imbattuta di recente in un articolo dai toni nostalgici e severi nei confronti dell’animazione contemporanea, qualcosa che pensavo interessante perché chi l’ha scritto era un bambino negli anni Ottanta, cresciuto con cartoni animati (quanto detesto questo termine) che io ho visto in replica negli anni Novanta, tra i quali figuravano capolavori indiscutibili dell’animazione.
Se devo pescare il primo ricordo della mia vita, in esso c’era di sfondo Candy Candy in tv. Sono cresciuta con cartoons e anime, dai miei amati Looney Tunes a le Time Bokan Series della Tatsunoko Productions, da Tom&Jerry a DoraemonFlintstones e La Principessa SapphireFantazoo e Magica Emi (Mahō no sutā majikaru Emi); poi è arrivata Sailor Moon nel 1995, quando ero ancora all’asilo, ed ha acceso in me una passione che mai si è estinta verso l’animazione giapponese, ma questa è un’altra storia.
L’animazione ha sempre fatto parte del mio quotidiano e non come educatrice al posto dei genitori: con la mia baby sitter sospiravamo per Terence Granchester; con mamma e papà avevamo momenti di convivialità e risate per i fallimenti di Wile E. Coyote; quando era ora di pranzo nonna mi chiedeva di Lupin III per cantare la sigla e, a scuola – una scuola cattolica – le suore si assicuravano di prenotare l’anteprima del film Disney dell’anno al Sistina di Roma. Riuscite ad immaginare delle suore che assistevano in sala a Fiamme d’Inferno/Hellfire de Il Gobbo di Notre Dame? Oppure che al concerto musicale di Natale autorizzavano la classe a cantare la sigla di Pokèmon di Giorgio Vanni?

candy candy

Nessuno di noi all’epoca sapeva che quei prodotti d’animazione erano sottoposti a censura, ma nonostante ciò molti di essi avevano comunque contenuti che oggi sarebbero considerati inappropriati; contenuti che spesso le prime trasmissioni non avevano pensato di censurare (il bacio tra Haruka e Michiru, la cotta di Shaoran per Yukito, ecc…).
Nessuno era rimasto traumatizzato da un bacio o un po’ di violenza inevitabile in uno scontro tra bene e male, quanto non lo erano le persone vicine a me che si preoccupavano davvero di educazione. Così in tempi non sospetti, quando forse i genitori erano considerati più severi e certi ambienti bigotti al quadrato, qual era la maggior preoccupazione di chi si occupava di educazione? Ci si preoccupava che avessimo i vaccini, di farci svolgere attività fisica, che non giudicassimo le persone in base al colore della pelle, che sapessimo degli orrori compiuti dal razzismo, che fossimo coscienti che molte persone nel nome di Dio avessero portato morte. Non era loro preoccupazione se vedevamo o meno animazione demenziale o personaggi in crossdressing, non si preoccupavano della possibilità che ci buttassimo dalla finestra perché credevamo di essere un pokèmon, quanto non credevano che show comici ci rendessero qualunquisti. L’educazione con la trasmissione di valori spetta a chi si occupa di educazione, non a quello che offrono i palinsesti tv.
Sicuramente il problema della tv trash esiste e chi lavora nei palinsesti dovrebbe occuparsene, ma la tv spazzatura si presume sia a consumo di adulti in grado di comprendere quello che vedono, consapevoli della natura del programma che non è quasi mai d’animazione.

pokémon

Ricordare vecchie glorie animate e volerle far conoscere a nuove generazioni è un’operazione lodevole, quanto divertente se si è genitori: si può cogliere l’occasione di quality time indimenticabile ed un confronto che può arricchire entrambe le parti. Dalle prime righe dell’articolo di Omar Kamal però c’è qualcosa che stride, che sa di vecchio, di nostalgico, incapace di guardare obiettivamente alla realtà, concentrato in un microcosmo di inesattezze e pregiudizi. Nel tempo non tutte le evoluzioni possono essere qualitative, molte possono virare su contenuti e forme discutibili, ma banalizzare senza un reale spirito critico è anche peggio.
La critica non deve essere negativa, la critica è analisi e l’analisi è soprattutto osservazione, una cosa che il nostro autore evita di fare, preferendo una sommaria conclusione che finisce per criticare un genere che non è tale, confondendo le carte in tavola e dove risulta difficile capire dove stia andando a parare.

La stragrande parte dell’offerta televisiva dedicata ai bambini (mi riferisco soprattutto ai bambini di un’età compresa che va dai 5 ai 10 anni) è per lo più demenziale. Demenziale – occorre specificarlo – non è il giudizio personale attribuito a questo o quel cartone animato: per demenziale, intendiamo un vero e proprio genere televisivo, così come può intendersi il genere drammatico, comico, fantascientifico […] Sicuramente il genere demenziale è un tipo di cartoon che grazie alle sue freddure diverte, non c’è dubbio: impoverendo. Perché laddove c’è un eccesso, è impensabile sperare di trovare un equilibrio.

Potremmo pensare che parli di cartoon tipo Peppa Pig Dora l’Esploratrice, sarebbe a questo punto facile dargli ragione, anche se – riflettiamo – quegli show sono finalizzati a scopi educativi per i bambini in età prescolare: mediante i colori, le parole, le figure, svolgono il compito di stimolare l’intelligenza dei più piccoli che difficilmente seguirebbero una storia con una trama, senza avere nozioni storiche, geografiche e scientifiche. Provate a chiedere a un bambino di tre anni cosa può aver capito da Teenage Mutant Ninja Turtles, magari si sarà divertito nel vedere delle tartarughe che mangiano pizza e combattono, ma può solo afferrare piccole parti di un plot, non avendo ancora i mezzi per seguire un discorso narrativo.
Non parliamo quindi di cartoon della prima infanzia, l’autore specifica che parla di prodotti dal target 5 – 10, prodotti non comici, ma demenziali, che impoveriscono lo spettatore. Il discorso potrebbe filare, anche se i titoli che possono venirci in mente non sono tanti. Di cosa parla quindi?

Teenage Mutant ninja turtles

Assisto dunque (e in silenzio) alle puntate di Clarence, di Uncle Grandpa, dei Titans, oppure di The Regular Show: questi, solo per citarne alcuni. Attenzione, cartoni animati su cui – prima ancora del nostro giudizio – interviene (per fortuna) la censura a tutela dei minori, tagliando di fatto scene inappropriate per contenuti o linguaggio.

Al di là del gradimento che si può nutrire per questi show, stiamo parlando di commedie – dai picchi talvolta demenziali, ok – che reti come Cartoon Network producono da sempre. Certi lavori d’animazione non si discostano affatto dai classici di Hanna-Barbera come Yogi BearTop CatWacky Races; alcuni avevano una trama, altri si basavano su un canovaccio narrativo sempre uguale a se stesso, c’erano le slapstick comedy con dinamiche ripetitive, ma che riuscivano a intrattenere e divertire in modo spensierato, senza contare che poteva capitare avessero delle scene o battute “inappropriate”.
Non era appropriato neanche vedere il povero Wile E. Coyote cadere da un precipizio, o avere in mano della dinamite che esplodeva, ma questo importava? No, perché l’animazione era nata per tutti, adulti e bambini, inclusiva, riconosciuta come arte e – pertanto – nessuno pensava che avrebbe stimolato desideri violenti o devianti nei giovani spettatori, piuttosto si era consci che la censura  era una forma che imbruttiva l’arte, qualcosa che delimitava la libertà d’espressione e che altrove era stata avvisaglia – o conseguenza – di scenari più drammatici.
La censura non può essere mai una soluzione e leggere di un giornalista che parla positivamente di censura mi lascia interdetta, come mi stranisce il tono da educando che sembra evocare a un’età più importante di quella che l’autore ha.

Hanna-Barbera

Spengo la televisione. I bambini si ribellano, ed è normale che sia così. Il rapporto amichevole cessa, torna il rapporto genitoriale, quello de “I no che aiutano a crescere”, titolo del celebre libro di Asha Phillips. Ovvio che i bambini non la prendono bene. Da eroe, cadi (per ora) nella loro personale classifica di genitore fico. Pazienza, dico a me stesso. Un genitore non è un politico, e non deve piacere a tutti i costi. Non è neppure un distributore automatico di premi e punizioni: un genitore, per quanto possibile, dev’essere da esempio.

Non sta a noi impartire lezioni di pedagogia o scrivere decaloghi del perfetto genitore, ognuno educa i figli secondo il metodo che ritiene più opportuno, anche se credo che Asha Phillips non pensasse esattamente che imporre i propri gusti a quelli dei figli fosse un “no che aiutava”. Il nostro giornalista giustifica che non c’è un giudizio o una questione di gusti di mezzo, ma è praticamente impossibile crederlo.

Ci mettiamo (non senza difficoltà) attorno al tavolo della cucina, dove prendo un po’ di fogli di carta, penne e pennarelli. […] Divido in due parti il foglio di carta: da un lato scrivo 2018, dall’altro scrivo 1984: nel 1984 avevo 8 anni, quindi era l’anno che poteva fornire maggiori paragoni tra questi due mondi. Disegno da un lato un televisore vecchio stile (il caro e vecchio tubo catodico) e con un numero: il numero rappresentava quei pochi canali che avevamo a disposizione per fare zapping tra un cartone e l’altro […] Dall’altro lato disegno un televisore a schermo piatto, accanto a cui scrivo tutti i servizi di cui possono disporre i miei figli. Non c’è storia (dicono loro). Vuoi mettere quei pochi canali contro tutti i servizi digitali di cui dispongono loro?
Poi, ho diviso ciascuna delle parti del foglio, in due colonne: da un lato il nome dei cartoni animati e dall’altro cosa trasmettono, in termini chiaramente di valori e ricordi. Loro contribuiscono, si dimostrano interessati e mi aiutano a disegnare sul foglio: ognuno, per fortuna, ci mette del proprio.

L’attività di bonding genitore-figlio è molto bella quanto un aperto confronto generazionale, ma da queste parole emerge chiaro un senso di superiorità per l’epoca d’appartenenza, per i valori di quel periodo, costruendo una tesi che ha dell’irrazionale, come se l’intrattenimento e l’arte fossero obbligati moralmente di trasmettere valori, di avere scopi didattici e una parte etica come le favole di Esopo.
Oscar Wilde – per citarne uno – non sarebbe che in disaccordo: l’arte e l’etica sono cose distinte.
Quale fine può portare inoltre dire ai propri figli: “i cartoni animati che vedevo erano meglio dei vostri”? Mettendo che i figli l’abbiano data vinta al padre c’è un premio che l’aspetta? Oppure questo confronto ha portato a rivoluzionare il panorama dell’animazione? Sono solo parole, parole di chi è convinto semplicemente di aver avuto di più, perché? Perché l’infanzia e l’adolescenza sono un bel periodo nella vita delle persone, allora perché rovinare quella di altri denigrando ciò che amano, giudicandolo senza contenuti, demenziale, in grado di influenzare le loro menti in peggio?
La proposta è molto più ampia di quella degli anni Ottanta, come nota lo stesso giornalista, ed in quest’ampia offerta c’è animazione di ogni tipo, ogni genere, ogni target.
Regular Show può non piacere, le stagioni più vanno avanti e più sembrano perdere il loro spirito, ma quando il cartoon uscì nel 2010 fu una ventata di novità che ha fatto innamorare non solo i bambini. A prescindere dal gusto, Regular Show è una commedia slice of life tra le più brillanti ed innovative create da Cartoon Network, non una cosa demenziale che istiga al qualunquismo.
Vogliamo poi parlare delle censure apportate allo show?
Ne incollo giusta qualcuna presa da Wikipedia:

  • [01×01] Mordecai dice: “meglio arrabbiato che morto”, la battuta è stata modificata in “Meglio arrabbiato che in orbita”.
  • [01×03] La frase: “tornano a strapparvi i vecchi pantaloni che portavate a 11-15 anni” è stata modificata in “tornano a strapparvi i jeans che portavate a 15 anni”.
  • [01×03] E’ stata eliminata la battuta di Mordecai: “sei fortunato che mi interessino le tette di una ragazza”.
  • [02×21] La scena nella quale Morte sputa nella bocca di Rigby è stata sostituita con Morte che spara un laser dal suo mignolo a Rigby.
  • [03×04] Sono state eliminate le scene in cui Batti Cinque esplode su Mordecai e Skips; vedendo Batti Cinque esplodere Benson vomita delle gomme da masticare ed anche questa scena è stata tagliata.
  • [03×35] La scena in cui Mordecai dice: “ci spaccano i pollici” è stata cambiata in “ci spaccano la faccia”, pertanto la parte nella quale Rigby dice: “a me piacciono i miei pollici” è stata cambiata in “a me piace la mia faccia”.
  • [04×11 e 04×12] In questo Special natalizio assistiamo a un elfo che spara a Babbo Natale il quale, successivamente, mostra i segni delle pallottole sulla sua pancia, inutile dire che queste scene sono state tagliate. Babbo Natale non rispecchia esattamente l’idea che si ha di lui e si giustifica dicendo che quell’immagine è data dalle pubblicità ed anche questa scena – per tanto – è stata tagliata.
  • [05×02] La battuta “sono il Dio degli artisti di strada” è stata cambiata in “sono il Guardiano degli artisti di strada”, per non offendere la religione.
  • [05×32] Quando il surfista dice “Peachy è morto”, la battuta è stata sostituita con “peccato che Peachy sia affondato”.

Senza continuare con gli esempi c’è il fatto oggettivo che Regular Show ha della violenza, contenuti sessuali impliciti (molto leggeri), un linguaggio vagamente maleducato e personaggi che possono morire. Vogliamo davvero commentare su quanto sia assurdo considerare benevole le censure per tali idiozie?
Diciamocelo: Regular Show non è esattamente South Park o Family Guy.

CN

I bambini non degenerano se vedono queste cose, ma se nel loro quotidiano non hanno un’educazione diretta e reale. Se si delega alla televisione la funzione educativa e formativa – dimenticandoci che è un contenitore che oscilla dall’informazione al mero intrattenimento spensierato -,  allora la persona non potrà che riflettere quel caos, imitando ciò che vede senza una reale ragione.
La tv non è il male, ma una finestra sul mondo da cui ci si può informare, arricchire, quanto vedere cose fini a se stesse, più o meno divertenti. Una finestra però non è la finestra e neanche la porta o lo specchio, un adulto può – dovrebbe – capirlo, un bambino può arrivarci da solo, ma è improbabile che lo capisca se i suoi educatori lo abbandonano a se stesso o fanno capire lui il contrario.
Ma ok, poniamo il caso che Regular Show con Clarence ed Uncle Grandpa siano effettivamente il male incarnato e che Cartoon Network sia effettivamente un secchio dell’immondizia del demenziale… ma i Teen Titans?
Teen Titans nascono come testata DC Comics negli anni Sessanta, nel 2003 ispirano una serie animata di successo e, per chi non sapesse, ci troviamo davanti a una serie su un gruppo di giovani Supereroi che persegue l’obiettivo di difendere la pace e far trionfare la giustizia. Dal 2013 su Cartoon Network è trasmesso Teen Titans Go!, versione parodistica dei Teen Titans e basata sull’omonimo fumetto spin-off, caratterizzato da un design eccessivamente super-deformed e da contenuti comici, ma che non contraddicono i messaggi positivi della serie originale. Al di là delle criticità che non rievocano la bellezza dello show originale, si può parlare di uno show diseducativo, demenziale e con contenuti inappropriati?
Più cerco di farmi domande e trovare risposte, più sono confusa dai contenuti critici e dal messaggio dell’articolo, supportato da molti genitori che ultimamente sono sempre più preoccupati da ciò che i figli vedono in tv, trasmettendo loro l’ansia da contenuti inappropriati e soffocandoli di idee e preoccupazioni che i ragazzini non dovrebbero avere nei loro momenti di evasione. Più quest’ansia aumenta e più sembra che si voglia rubare la dimensione ludica e creativa dell’infanzia, mostrandola sotto una luce oscura, preoccupante, intravedendo messaggi subliminali che non esistono e creano paranoie di cui gli stessi bambini si appropriano alla fine.
Essere bambini nel 2018 è davvero difficili, visto che nella realtà tra economia, lavoro e diritti non ci sono difficoltà, complichiamo l’immaginario dei bambini, dicendo che non si toccano ma toccandoli per primi con invadenza e prepotenza. Basta pensare alla povera Elsa di Frozen. Prima nel fandomquattro gatti scrivono nel web che la vorrebbero fidanzata con un’altra ragazza, poi politici senza scrupoli dicono che direttamente la Disney la vuole fare lesbica e che questo implica il via all’invasione del nostro Paese da parte dei migranti [aggiungere sconcerto a tonnellate], poi menestrelli di dubbia arte dialogano con Elsa, se la portano a letto, e vogliono quindi assicurare che le piace il pene. Questi deliri sono alla portata di bambini, aggiungiamo.
Magari Elsa vuole solo essere single a vita.

elsa Frozen
Per pietà nei confronti di Elsa andiamo avanti, tornando al nostro articolo su Huffington Post.

Oggi il grosso del genere demenziale è fine a se stesso. Non conduce da nessuna parte, se non a un impoverimento linguistico e sentimentale. Non tutto è da buttar via, per carità. Ma cosa può apprendere un bambino, passivamente, da tutto questo? La capacità di fare battute? L’idea che le relazioni sociali siano a tutti gli effetti un qualcosa di surreale? Vero che poi, noialtri siamo figli dell’estensione animata dei manga giapponesi: in loro c’era speranza, c’erano battaglie e profonda ricerca di un senso futuro delle cose (oltre alla comicità che c’era, ed è bene ricordarlo, non era demenziale). C’erano di mezzo battaglie nobili, al di là del fatto che parliamo di Ken il GuerrieroL’uomo tigre o Lady Oscar. Contenuti forti, certo che sì, ma in grado trasmettere il senso di giustizia condiviso che – diciamocela tutta – oggi si fa difficoltà a trovare.

Da appassionata hardcore di anime e manga sono travolta dalla più totale confusione: ma come non stava criticando qualche grammo di scomodità tematiche e violenza? E ci chiama in causa Kenshiro, Naoto Date ed Oscar? Batti Cinque non può esplodere ma Kenshiro può far esplodere? Sono confusa, l’ho già detto? Mi serve l’aiuto da casa per trovare un senso a questo articolo sull’animazione.
Inoltre i giapponesi amano il nonsense ed il demenziale, non fanno differenza tra commedia e demenziale, per loro sono generi sullo stesso piano. Non voglio fare l’esperta, ma basta aver visto un qualsiasi anime per trovare scene nonsense e in cui si esaspera la comicità – anche se per pochi secondi – e la si integra poi con il dramma, da Naruto a Fullmetal Alchemist a Tokyo Ghoul, un piccolo spazio di surreale comicità c’è ed è raro non trovarlo.
Potrei simpatizzare per questo appassionato di anime, proprio perché anch’io sono cresciuta con tantissimi anime, non baratterei la mia infanzia, ma non per questo mi sento di accusare l’animazione contemporanea e l’offerta televisiva. Se mi siedo ora sul divano la domenica pomeriggio e voglio guardarmi per quattro ore Cartoon Network – avendo quasi trent’anni –  dopo un’ora mi annoierei e sarebbe più che logico rievocare le serie della mia infanzia. Parliamo di un’esperienza personale però, nostalgica, non di un campione che parla di tutto il panorama contemporaneo dell’animazione, più ricco, dinamico e filosofico di quello che si pensa… se si conoscono le produzioni attuali, ovvio.
Hokuto no Ken non si può paragonare a Naruto (tutte e due sono serie pubblicate da Weekly Shōnen Jump), pur avendo elementi narrativi comuni, sono due opere profondamente diverse, ma non per questo chi ama una serie non ama l’altra. Inoltre l’attuale mondo dell’animazione e del fumetto non è limitato a Naruto (e Boruto), è così vario nelle sue forme e nei contenuti che dovremmo scriverne un saggio.
Piuttosto è triste che l’animazione giapponese sia sempre più assente dalla televisione e che difficilmente siano riproposti vecchi anime come accadeva fino a una decina di anni fa, motivo per cui La rosa di Versailles era conosciuta sia negli anni Ottanta che nei primi anni Duemila; sarebbe un peccato che in futuro nessuno conoscesse la storia di Oscar, se non per ricerca personale su qualche sito di streaming. Ma c’è davvero da stupirsi della mancanza di anime? Negli anni Novanta Sailor Moon non ci scandalizzava, adesso si pensa che – pure lei – sia diventata lesbica, quindi pericolosa, deviante, e la censura non sa più dove mettere le mani. Povero Mamoru, povera Michiru, che devono sentirsi cornificati da chi si è svegliato oggi.

Sailor Moon Anime

Con queste rosee critiche che ci forniscono tv, siti e giornali, se fossi una bambina (o un’adolescente) mi rinchiuderei in casa, staccherei tv, telefono ed internet, perché ognuno di questi ha un male potenziale deviante.
Dato che anche la Playstation dovrebbe essere abolita per legge, perché sei un coglione se ci giochi secondo qualche redattore de La Stampa, butterei anche i videogames. E non sia mai leggere: tra libri e fumetti c’è chi istiga alla stregoneria (Harry, mi sa che ce l’hanno con te), la scuola lo fa, quindi è prioritario per la politica intervenire.
Meglio spegnere il pensiero, tapparsi gli occhi, non sentire e vivere nel nichilismo più assoluto; meglio non studiare neanche, perché altrimenti sei troppo arrogante e se desiderassi fare carriera nel mondo politico saresti in minoranza. Belle lezioni che ci arrivano dalla politica e da qualche giornalista che va contro tutto ciò che dovrebbe essere la sua professione.
Se le mie sembrano conclusioni estreme, guardatevi un po’ intorno, guardate come ogni giorno il dibattito culturale si sposta su certe inezie del mondo: è grave, è deprimente e mi è dispiaciuto davvero aprire il blog in questo modo, avrei voluto farlo sentendo l’esigenza di scrivere su cose più allegre.
Spero che nel mondo però esistano ancora maestre (che nel mio caso avevano la tonaca) che capiscono quanto sia importante talvolta sapere che ci sono 151 pokèmon nella prima generazione, quanto è importante supportare le bambine che vogliono essere guerriere sailor e, durante la ricreazione, lasciar giocare con Super Mario perché può insegnare qualcosa divertendo.